LE TRE SORELLE OLYMPIC-TITANIC-BRITANNIC - TRE DESTINI DIFFERENTI
LE TRE SORELLE
OLYMPIC-TITANIC-BRITANNIC
TRE DESTINI DIFFERENTI
La classe Olympic era formata da tre navi passeggeri gemelle, appartenenti alla Compagnia marittima inglese:
WHITE STAR LINE
OLYMPIC – La nave fu varata nel 1910 e demolita nel 1935. Fu di gran lunga la più longeva delle Tre Sorelle. Durante la sua lunga carriera conobbe un incontro ravvicinato con un sommergibile tedesco durante la prima guerra mondiale e una collisione con la motonave inglese Hawke. Senza conseguenze gravi in entrambi i casi. Il 15 maggio 1934 l'Olympic speronò di prua la piccola nave americana Nantucket Lightship LV-117. La piccola nave naufragò e morì tutto il suo equipaggio: alcuni membri perirono sul colpo, mentre altri morirono successivamente in ospedale.
Il 27 marzo 1935 compì il suo ultimo viaggio Southampton-New York. Nel setytembre dello stesso anno fu venduta a Sir John Jarvis per £ 100,000. Rivenduta a Thomas W.Ward Ltd. con l'impegno che la nave venisse demolita nel cantiere di demolizione Jarrow-on-Tyne. Il 13 ottobre la nave giunse al Palmer's-old shipyard, Jarrow. Il prezzo dell'acciaio dell'OLYMPIC superò £2,3s per tonnellata.
TITANIC – La nave fu varata nel 1911, affondò durante il viaggio inaugurale, nel 1912 dopo la collisione con un iceberg.
BRITANNIC – La nave, poi HMS Britannic – varata nel 1914, affondò nel 1916 dopo l'urto con una mina tedesca quando era utilizzata solo come nave ospedale durante la Prima Guerra Mondiale.
Il transatlantico HMS BRITANNIC, prima di essere convertito in Nave Ospedale, era stato designato RMS Gigantic.
Del transatlantico TITANIC e del gemello OLYMPIC ce ne siamo già occupati sul sito di Mare Nostrum Rapallo, ecco i LINKS:
RMS TITANIC - Una breve Storia
LA STORIA DEL RMS OLYMPIC
Del BRITANNIC ce ne occupiamo con il presente servizio.
HMHS BRITANNIC
Ai primi del ‘900, la rivalità tra le due famose Compagnie di Navigazione Passeggeri: CUNARD LINE e WHITE STAR era famosa in tutto il mondo dello Shipping internazionale, proprio in quella fase storica che fu definita “L’ETA’ D’ORO” dei LINERS oceanici.
Ai due giganti di linea: Lusitania e Mauritania della CUNARD, di cui ci siamo già occupati su questo sito, la WHITE STAR rispose il 23 novembre 1911 firmando un contratto con i costruttori navali irlandesi Harland & Wolff, per la costruzione della terza nave del trio di super transatlantici, appunto: il BRITANNIC.
Questa è la storia di quello che sarebbe diventato di lì a poco L’HMHS Britannic, l’acronimo inglese (His Majesty’s Hospital Ship) ne indica la sua ultima destinazione.
Avrebbe dovuto chiamarsi Gigantic, ma l’affondamento della gemella RMS Titanic, rivoluzionò i piani di costruzione ed il suo nome fu cambiato in Britannic.
ALCUNI MIGLIORAMENTI TECNICI REALIZZATI SULLA BRITANNIC
La perdita di vite avvenuta con il Titanic, incise pesantemente sulle scelte progettuali e portò la Compagnia ad equipaggiare nuove e più grandi gru, capaci di portare fino a 48 scialuppe, 2 delle quali dotate di radio a corto raggio e motori.
Per navi superiori alle 10.000 tonnellate, era ancora in vigore la legge che prevedeva l’obbligo di lance di salvataggio per almeno un terzo delle persone imbarcate, quindi non esisteva alcun obbligo per i costruttori a garantire la sicurezza di tutti i passeggeri e dell’equipaggio.
Fu aumentato il numero dei compartimenti per aumentare la galleggiabilità della nave nei casi di estremo pericolo, cercando soprattutto d’isolare, quindi di proteggere la sala macchine. L’altezza di 5 paratie delle 17 paratie, misuravano 23 metri fino ad arrivare al ponte di coperta. Questo permetteva al Britannic di evitare l’affondamento nel caso in cui l’acqua fosse riuscita a passare al di sopra delle paratie.
I compartimenti, furono dotati di 63 porte stagne a chiusura semi-automatica e venne rinforzata la chiglia, principalmente al di sotto della sala macchine, per un totale di 155 mt, con una doppia chiglia di 76 cm di spessore. Con queste modifiche, in teoria, la nave sarebbe potuta restare a galla (ma non in movimento) anche con 6 scompartimenti anteriori allagati.
Il transatlantico fu varato il 26 febbraio 1914. Era lungo 269 metri e largo 28.5, aveva una stazza di 48.158 tonnellate, minore di quanto previsto inizialmente, 9 ponti, 785 passeggeri di 1° classe, 835 di 2° classe, 935 di 3°classe e 950 persone di equipaggio, 29 caldaie di cui 24 di tipo doppio e 5 di tipo singolo.
La propulsione era composta da due macchine alternative a vapore reversibile a doppio effetto e triplice espansione a quattro cilindri, collegate alle eliche esterne, mentre una turbina Parsons a bassa pressione alimentava quella centrale. Questi motori, i più grandi mai costruiti, 13.5 m di altezza, rispetto a quelli del Titanic erano più efficienti e permettevano, in fase di manovra, la mobilità delle 2 eliche esterne ed attraverso il recupero del vapore, veniva garantita l’alimentazione della turbina per la terza elica centrale.
Grazie ai 50.000 cavalli vapore sviluppati, la nave poteva raggiungere i 22 nodi, velocità incredibile per una nave passeggeri dell’epoca.
UNA CURIOSITA':
Sui tre SUPER-TRANSATLANTICI, solamente tre delle quattro ciminiere alte 19 metri erano funzionanti, la quarta aveva la funzione di presa d'aria, e fu aggiunta per rendere lo SHAPE della nave più imponente.
il 28 giugno 1914, L'attentato di Sarajevo fu assunto dal governo di Vienna come il “casus belli” che diede formalmente inizio alla Prima guerra mondiale. Il Britannic non sarebbe mai potuto entrare in servizio passeggeri per il quale era stato designato e destinato. La dichiarazione di guerra della Gran Bretagna causò la completa cessazione dei lavori sulla nave Britannic.
QUADRO STORICO
La campagna di Gallipoli, conosciuta anche come campagna dei Dardanelli fu una campagna militare intrapresa nella penisola di Gallipoli dagli Alleati: Impero Britannico e Francia schierati contro L’Impero Ottomano e Germania nel corso della Prima guerra mondiale per facilitare alla Royal Navy e alla Marine Nationale il forzamento dello stretto dei Dardanelli al fine di occupare Costantinopoli, costringere l’Impero Ottomano a uscire dal conflitto e ristabilire le comunicazioni con L’Impero russo attraverso il Mar Nero.
La campagna, pianificata da Francia e Regno Unito, doveva inizialmente articolarsi su una serie di attacchi navali che, condotti dal 19 febbraio al 18 marzo 1915, non ottennero i risultati previsti; il 25 aprile 1915 tre divisioni alleate furono sbarcate sulla penisola di Gallipoli, mentre altre due furono utilizzate in azioni diversive, in quella che si può considerare la prima operazione anfibia contemporanea su vasta scala e dalla quale scaturirono studi teorici che influenzarono profondamente successive operazioni analoghe. L'azione fu studiata in modo da eliminare le fortificazioni avversarie e rilanciare l'assalto navale, ma lo svolgimento delle operazioni non andò come previsto dai comandi alleati: l'improvvisata organizzazione della catena di comando, la confusione durante gli sbarchi, le carenze logistiche e l'inaspettata resistenza dei reparti ottomani coadiuvati da elementi tedeschi impedirono di ottenere un'importante vittoria strategica, trasformando la campagna in una sanguinosa serie di sterili battaglie a ridosso delle spiagge.
L'evacuazione finale delle teste di ponte tra il novembre 1915 e il gennaio 1916 suggellò uno dei più disastrosi insuccessi della Triplice intesa durante l'intera guerra; il fallimento costò al corpo di spedizione circa 250 000 morti e feriti e fu aggravato dalla perdita di diverse unità navali di grosso tonnellaggio, nonostante gli Alleati avessero goduto di un'assoluta superiorità numerica e tecnica a confronto con le esigue forze navali ottomane.
In questo teatro bellico entra in scena la nave ospedale
BRITANNIC
Il 13 novembre 1915 la White Star ricevette la richiesta dall’Ammiragliato Britannico per impiegare la Britannic come nave ospedaliera. La sigla RMS venne quindi sostituita e divenne HMHS BRITANNIC.
L’ammiragliato prevedeva di alloggiare 3.309 pazienti nei ponti superiori per assicurare trasferimenti rapidi alle scialuppe in caso di emergenza. I medici, gli infermieri superiori, gli ufficiali amministrativi della corporazione medica Reale e i cappellani soggiornavano in cabine di prima classe, mentre gli infermieri inferiori e gli assistenti alloggiavano nelle cabine passeggeri dal ponte B in giù.
Il transatlantico Britannic ebbe una nuova livrea, quella riconosciuta ufficialmente in guerra: striscia verde longitudinale intervallata da 3 croci rosse, una linea di luci verdi longitudinale con croce rossa illuminata per la navigazione notturna, inoltre le fu assegnato il numero nave 9618. Questo permetteva alle navi di navigare indenni durante il conflitto.
La Nave Ospedale Britannic, al comando dell’esperto capitano Charles Bartlett, aveva il seguente programma: partire da Liverpool e Southampton, fare rotta verso il Mediterraneo (Napoli, Sicilia, Mar Egeo, Turchia e altri porti del Mare Nostrum), andare a caccia di feriti, curarli e portarli in salvo.
La partenza dalla Gran Bretagna fu tranquilla. Gli ordini dell’Ammiragliato a Bartlett prevedevano, nel viaggio d’andata, la breve sosta a Napoli per fare bunker (rifornimento di carbone e acqua), per poi raggiungere il porto di Mudros nell’isola greca di Lemnos.
La Nave Ospedale BRITANNIC raggiunse il Mediterraneo e qui restò operativa dal 1914 al 1916. Per l'esattezza fino a martedì 21 novembre 1916, giorno in cui, fu squarciata da una violenta esplosione al largo dell'isola di Kea nel Mar Egeo.
Secondo testimonianze, per la verità mai accertate, l’urto della mina avvenne nelle vicinanze della sala macchine.
Pur rafforzato nelle sue strutture, il Britannic affondò in 55 minuti.
L’affondamento causò la morte di 30 persone, molte delle quali, perirono quando, senza l’ordine preciso del ponte di comando, vennero ammainate le lance poppiere, mentre le eliche erano ancora in movimento.
Questa terribile circostanza accadde perché non fu possibile fermare le macchine, quindi gli assi porta-eliche a causa dei danni riportati a seguito dell'esplosione.
Alcune testimonianze, peraltro mai confermate da fonti ufficiali, riportano che l'esplosione fu terribilmente aumentata a causa del materiale esplosivo esistente a bordo (quasi certamente destinato a uso bellico; armamenti che non dovevano trovarsi a bordo).
Nessuno dei libri inglesi da me consultati e citati nella Bibliografia sotiene tale ipotesi, ma non viene esclusa l'ipotesi che l'eplosione sia stata fortemente incrementata dalla presenza di gas di carbone (coal dust igniting)*.
* - Un'esplosione di polvere è la rapida combustione di particelle fini sospese nell'aria, spesso in un luogo chiuso. Esplosioni di polvere possono verificarsi quando qualsiasi materiale combustibile polverizzato disperso è presente in concentrazioni sufficientemente elevate nell'atmosfera o in altri mezzi gassosi ossidanti, come l'ossigeno.
La Convenzione dell'Aja del 1907 aveva definito il concetto moderno di nave ospedale. In particolare l'articolo 4 definiva le caratteristiche necessarie affinché una nave potesse essere considerata "nave ospedale": La nave doveva avere segni di riconoscimento e illuminazione specifiche; doveva fornire assistenza medica a feriti di tutte le nazionalità; non poteva essere impiegata per alcuno scopo militare; non doveva interferire né ostacolare le navi militari. Inoltre, le forze belligeranti avevano il diritto di ispezionare le navi ospedale per verificare eventuale violazioni delle norme di convenzione.
In caso di violazione anche solo di una delle limitazioni previste, la nave avrebbe perso il suo status di “zona franca” ed anzi protetta (molto spesso erano dipinte di bianco, e recavano in modo evidentissimo la grande Croce rossa, simbolo internazionale di neutralità) e sarebbe tornata ad essere considerata come unità combattente e come tale suscettibile di attacco nemico.
Subito dopo Il capitano Bartlett ordinò al timoniere di accostare verso l’isola di Kea, con l’intento di portare la Britannic verso i bassi fondali, ma la nave non rispondeva ai comandi: si era aperta una falla a dritta di prora da cui entrava mare vivo sui ponti aperti E-F.
La nave, per fortuna, era scortata da altri mezzi navali che riuscirono a salvare 1070 persone. 35 delle 58 scialuppe furono ammainate in mare.
La nave ormai sbandata a dritta, cedette a prua, mentre lo scafo si mantenne integro, come in seguito dimostrarono le riprese subacquee di famosi esploratori, una per tutte: quella compiuta nel 1974 dal comandante Jacques Cousteau.
Così i testimoni descrissero il naufragio:
“Iniziò ad affondare con la prua, quando le eliche emersero dall’acqua, la Britannic sbandò ancora di più a dritta e s’inabissò”.
IL SALVATAGGIO DEI SUPERSTITI
Come si é visto, la nave era scortata da altri mezzi navali che riuscirono a salvare oltre un migliaio di persone. Ma sarebbe ingiusto dimenticare la flottiglia di piccole navi da pesca greche che entrarono in scena quasi nello stesso momento in cui la nave affondò, insieme a navi più grandi chiamate dal Britannic.
La prima di fu la Heroic, che prese con sé 494 naufraghi, poi arrivò la HMS Scourge, che prese 339 sopravvissuti, seguita dalla HMS Foxhound. Arrivarono anche due rimorchiatori francesi: il Goliath e il Polyphemus, chiamate dalla Scourge. Anche le due scialuppe a motore del Britannic giocarono un ruolo chiave, girando per le altre scialuppe e prendendo i feriti più gravi, che vennero portati a Kea. I 150 sopravvissuti arrivarono nel piccolo villaggio di Korissia, dove ricevettero cure mediche.
Molte furono le inchieste effettuate negli anni successivi sulla dinamica dell’incidente. Inizialmente si pensò non ad una mina, bensì ad un siluro, poi si fece strada l’ipotesi che la nave, pur essendo nave ospedale, trasportasse armamenti che avrebbero aumentato il potere esplosivo all’impatto. Restò di fatto un mistero custodito per molto tempo, fin quando durante una spedizione avvenuta nel 2013, diretta da Carl Spencer, vennero fatte 2 scoperte interessanti. La prima riguardava la resistenza delle porte a tenuta stagna.
La seconda scoperta è probabilmente più interessante dal punto di vista storico. Una ricerca guidata da Bill Smith, un esperto di sonar, scoprì i resti di diverse catene di mine in prossimità del relitto e nell’esatta localizzazione identificata nel diario di bordo del sottomarino tedesco U-73.
La spedizione inoltre fece luce sulla tesi secondo cui, i fuochisti che a turno alimentavano le enormi caldaie della nave, utilizzassero le porte stagne come passaggio tra le paratie. Questo si tradusse nell’impossibilità di isolare le paratie e nel conseguente passaggio di acqua tra di esse. La tesi fu confermata dal fatto che molti dei portelli stagni utilizzati dai fuochisti, vennero trovati aperti durante l’esplorazione del relitto.
L’isola di Kea, nota anche con il nome di Tzia, si trova nelle Isole Cicladi ed è situata nell’angolo più remoto e tranquillo dell’arcipelago, lontana dalle affollate mete turistiche della zona come Mykonos e Santorini.
"Dal 2010 i turisti possono imbarcare sul nostro sommergibile e visitare il relitto, il più grande perfettamente conservato esistente al mondo" a 120 metri di profondità nelle acque due miglia a largo dell’isola di Kea, non lontano da Atene”.
C’informa Panayotis Bouras, responsabile della Britannic S.A., sussidiaria della Britannic Foundation inglese che detiene i diritti sul relitto.
“Il progetto è stato finanziato da investitori privati ai quali resta aperto. Il governo greco dapprima non si era mostrato troppo favorevole, per timore che l’affluenza di turisti potesse danneggiare il Britannic, considerato un “monumento sommerso” della storia marittima greca. Ma poi l’atteggiamento è cambiato e attualmente, sottolinea Bouras, non vi sono obiezioni e il Ministero della Marina Mercantile ha concesso l’autorizzazione per l’attività del sottomarino”.
Il Britannic, colato a picco mentre navigava come nave ospedale per la Royal Navy, fu una delle tre ammiraglie della Compagnia White Star che affondarono o subirono gravi collisioni. Oltre al Titanic, infatti, anche l’Olympic fu speronato due volte. Ciò, unito al fatto che un’infermiera, Violet Jessop fece parte degli equipaggi di tutte e tre le navi senza rimetterci mai la vita, ha fatto sorgere leggende sulla maledizione che graverebbe sulle unità della White Star.
"Ma non abbiamo paura delle leggende e delle maledizioni", assicura Bouras. "Quello che vogliamo è dare l’opportunità alla gente di tutti i Paesi di visitare un relitto unico al mondo".
Bibliografia:
CUNARD
By David L.Williams
THE FIRST GREAT OCEAN LINERS
By William H.Miller Jr.
THE WHITE STAR LINE 1870-1934
By Paul Louden-Brown
THE GOLDEN AGE OF OCEAN LINERS
By Lee server
BEKEN OF COWES – OCEAN LINERS
By Philip J. Fricker
AFFONDAMENTO DEL FRANCESCO CRISPI
AFFONDAMENTO DEL FRANCESCO CRISPI
ACCADDE 75 ANNI FA
943 Le Vittime
FRANCESCO CRISPI - Ts.l. 7.600 – Costruito: Muggiano – 1925
UN PO’ DI STORIA
A norma di quanto disposto dal D.M. Il 13 novembre 1931, la CITRA fu incorporata nella “FLORIO”, che assunse la nuova denominazione di “TIRRENIA” FLOTTE RIUNITE FLORIO-CITRA.
Nel 1937 fu trasferita da Flotte Riunite Florio-Citra al Lloyd Triestino. Requisita nel 1941 dalla Regia Marina e successivamente dal Ministero delle Comunicazioni.
Il 19 aprile 1943, a poche miglia dall'Isola d'Elba, tre siluri lanciati dal sommergibile inglese HMS SARACEN colpivano e affondavano il piroscafo del Lloyd Triestino FRANCESCO CRISPI mentre trasportava circa 1000 soldati italiani verso la Corsica. Perirono 943 persone fra i quali la maggior parte apparteneva ai Granatieri di Sardegna. Per molti giorni a seguire il relitto della nave restituì cadaveri che le correnti marine trasportarono fin sulle coste liguri. Una tragedia nella tragedia. La vigilia di Ferragosto dello stesso anno il sommergibile inglese HMS SARACEN fu inseguito dalle corvette della Regia Marina MINERVA ed EUTERPE che con il lancio di numerose bombe di profondità lo costrinsero prima ad emergere e poi lo affondarono a sole dieci miglia dal punto in cui aveva colpito il CRISPI.
L'ingegner Guido Gay, noto per aver ritrovato la Corazzata ROMA, grazie al suo ROV "Pluto Palla", riporta ora la luce sui relitti del piroscafo FRANCESCO CRISPI e del sommergibile HMS SARACEN e sulle loro lamiere contorte è scritta una tragica storia di 75 anni fa.
Finché visse mio nonno materno Filippo Machì, il nome della nave passeggeri FRANCESCO CRISPI rimbalzò spesso a ondate ricorrenti tra le pareti di casa nostra con la stessa tristezza che in genere si avverte per la perdita di un congiunto. Per molti imbarchi era stata la sua nave, la sua casa, i suoi amici, il suo lavoro da macchinista che gli aveva permesso di aprire, ormai da pensionato, una trattoria ubicata nelle vicinanze della cattedrale S. Lorenzo a Genova, riuscendo a dare alla numerosa famiglia un lavoro sicuro ed una clientela di noti Ufficiali e Comandanti del mondo dello shipping di allora.
Mio nonno Filippo a destra nella foto con al fianco il suo primogenito C.l.c. Elia Ufficiale di coperta e tutta la sua famiglia.
Bomba inesplosa nella Cattedrale di San Lorenzo a Genova
Ecco cosa rimase di quel quartiere di Genova…
Il 9 febbraio del 1941 Genova subì il suo primo ed unico pesante bombardamento navale da parte della flotta britannica: un evento bellico che, per le sue varie implicazioni di carattere politico e militare, e soprattutto psicologiche, segnò una svolta nell’andamento del conflitto. Per la prima volta, infatti, una grande città della penisola veniva scelta come obiettivo strategico da un avversario deciso a piegare la volontà di resistenza non soltanto del regime, ma anche della popolazione civile italiana.
“Giunte a circa quindici miglia da Genova, la Malaya e la Renown misero in posizione le torri prodiere e alle 8,12 i loro pezzi pesanti aprirono il fuoco, seguiti poco dopo da quelli di medio calibro dello Sheffield. Il bombardamento colse la città al suo risveglio e durò in tutto poco più di mezz’ora. La Malaya concentrò il suo fuoco sui bacini e sul porto, mentre la Renown e lo Sheffield bersagliarono l’area industriale. Complessivamente, le due corazzate spararono 272 colpi da 15 pollici e 400 da 4,5 - mentre lo Sheffield ne lanciò 782. Alcuni colpi da 381 della Malaya centrarono ed affondarono quattro mercantili e la nave-scuola Garaventa (la corazzata Duilio rimase invece indenne), danneggiando leggermente altre 18 unità. Uno dei giganteschi proiettili da 381 della Malaya perforò il tetto della cattedrale di San Lorenzo, ma fortunatamente non esplose, andandosi a conficcare alcuni metri sotto il pavimento, mentre altri centrarono la zona di Piazza Cavour. Ulteriori bordate colpirono alcuni edifici del centro, tra i quali il palazzo dell’Accademia e il primo stabile di sinistra all’inizio di Via Roma. La popolazione genovese pagò l’indubbia audacia dell’azione britannica con 144 morti, circa 200 feriti e ingentissimi danni”.
Il ristorante di mio nonno fu colpito e distrutto mentre i miei zii lo stavano raggiungendo per la consueta apertura. Al momento dell'esplosione si trovavano soltanto a poche decine di metri dal luogo dell'impatto; rimasero feriti ma si salvarono gettandosi d’istinto in un vicolo adiacente che gli fece da scudo quasi completamente.
Oggi, in quel sito di Via David Chiossone,
é ubicato il rinomato ristorante:
"LA BUCA DI SAN MATTEO"
Si salvarono fortunosamente anche gli altri componenti della famiglia ma perdettero le loro abitazioni e quasi tutti finirono all’ospedale per fratture multiple, ossa schiacciate, escoriazioni e contusioni varie; non ebbero il tempo di piangere su quelle macerie perché dovettero rimboccarsi le maniche per non morire di fame. Mio nonno era già anziano ma possedeva un’antica tempra di lottatore e, grazie ai suoi trascorsi professionali, riuscì ad imbarcare ancora una volta sul FRANCESCO CRISPI insieme al suo secondo genito che era Ufficiale di coperta.
Quell’imbarco fu molto lungo e pericoloso perché nel frattempo la nave era stata militarizzata, come abbiamo già visto, e destinata a trasportare truppe tra le sponde del Mediterraneo.
Ma questa volta il buon Dio ebbe pietà di loro … e fece in modo che padre e figlio sbarcassero 10 giorni prima che la FRANCESCO CRISPI venisse affondata dal sottomarino inglese SARACEN. Sbarcarono in tempo per raggiungere la loro famiglia che nel frattempo si era trasferita in collina (S.Agostino) a Rapallo.
Questa é soltanto una “piccola” storia famigliare tra le tante che sono state vissute dagli italiani più fortunati...
Sul sito di Mare Nostrum Rapallo abbiamo dedicato 60 articoli ai naufragi importanti ed anche a quelli dimenticati per i quali, ancora oggi, siamo giornalmente sommersi di richieste di notizie da parte di famigliari delle vittime. Queste persone meriterebbero l’attenzione del Governo e degli storici. Noi ci siamo assunti soltanto l’onere di tenere vivi quei ricordi per consegnarli alle nuove generazioni affinché non vengano dimenticati quei morti e le cause che li fecero sprofondare negli abissi del nostro mare.
IL SILURAMENTO DELLA FRANCESCO CRISPI
Proprio in questi giorni ricorre il 75° anniversario dell’affondamento del FRANCESCO CRISPI.
Il FRANCESCO CRISPI felicemente ormeggiato in banchina
Suggestiva immagine del FRANCESCO CRISPI
Il FRANCESCO CRISPI saluta il Porto di Livorno
Il FRANCESCO CRISPI ed il suo CARICO UMANO…
Il 19 aprile 1943, verso le 14.30, mentre navigava ancora con le insegne del Lloyd Triestino, venne intercettato e colpito con tre siluri dal sommergibile inglese H.M.S. Saracen che era in agguato a 18 miglia da Punta Nera (Isola d'Elba). Il piroscafo, pesantemente danneggiato, affondò in soli 16 minuti. Il convoglio, formato dalla Crispi con 1300 uomini a bordo, dalla nave trasporto Rossini e da alcune navi ausiliarie, era scortato dal cacciatorpediniere La Masa. Nell’affondamento morirono 943 uomini, in gran parte Granatieri di Sardegna, inviati ai presidi della Corsica occupata.
ll corpo dei Granatieri di Sardegna, al contrario della Brigata Sassari, non è mai stato costituito su basi esclusivamente regionalistiche. Il destino ha voluto che la tragedia del Crispi sia avvenuta il giorno dopo la sua fondazione, il 18 aprile, a Torino.
I Granatieri sono ancora adesso un corpo di fanteria dell'esercito. Discendono dall'antico Reggimento delle guardie, creato nel 1659 dal Duca Carlo Emanuele II. Oggi costituiscono una brigata tra le più impegnate delle forze armate italiane.
Il sottomarino britannico SARACEN (nella foto), varato il 16 febbraio del 1942, era la bestia nera dei convogli italiani in quel tratto di mare. Il Saracen si era distinto sin dalla sua prima missione, quando, al largo delle isole Fær Øer il 3 agosto del 1942, aveva affondato il sommergibile tedesco U-335. Il battello britannico aveva un dislocamento di 990 tonnellate, era lungo 65,9 metri, imbarcava un equipaggio di 48 uomini, era munito di 6-7 lanciasiluri e un cannone da 102/40. Il 9 novembre del 1942 aveva affondato in Sicilia al largo di Capo San Vito il sommergibile italiano Granito. Poi, nell'aprile del 1943 si era messo in agguato nel mar Ligure, intercettando i convogli italiani diretti in Corsica.
L’Ing. Guido GAY, piemontese di origine ma svizzero di adozione, ha ricevuto, l’8 Aprile 2018, il conferimento a Cavaliere di Santo Stefano. L’ing. Gay, esperto di “idrobotica” è l’inventore dei sottomarini robotizzati “PLUTO” che nel Giugno 2012, dopo anni di ricerche e tentativi, soltanto con propri finanziamenti e risorse, è riuscito a localizzare il relitto della corazzata ROMA al largo dell’isola dell’Asinara. Innumerevoli i riconoscimenti per questo straordinario ritrovamento anche da parte della Marina Militare. Ricordiamo che la ROMA, una delle più belle ed efficienti “Regie Navi da Battaglia” Italiane affondò in seguito ad una bomba radio guidata di nuovo tipo lanciata da un aereo tedesco il 9 Settembre 1943. Il Museo Marinaro di Chiavari ha dedicato innumerevoli conferenze alla Corazzata ROMA dato che delle 1393 vittime ben tre membri dell’equipaggio erano Chiavaresi, i Marinai Sebastiano Custo, Andrea Descalzi e il Tenente del CEMM Emilio Ruocco.
Recentemente l’Ing. Guido Gay è stato l’artefice del ritrovamento in fondo al mare del relitto del piroscafo FRANCESCO CRISPI del Lloyd Triestino affondato nel 1943 e del Sommergibile Inglese Saracen che lo aveva affondato.
Nella foto: a sinistra l'Ammiraglio Luigi ROMANI Cavaliere di Gran Croce, conferisce l’Ordine Militare di Accademico di Marina dei Cavalieri di Santo Stefano all’Ing. Guido Gay. Nella stessa cerimonia hanno ricevuto il Conferimento a Cavalieri di Santo Stefano anche i chiavaresi Comandanti Ernani ANDREATTA e il C.F. Giuseppe Massimo PENNISI.
(Foto sopra) Guido Gay ed i suoi sottomarini robotizzati “PLUTO”
La carta nautica mostra l’esatta posizione dei due relitti. Più a Nord il SARACEN più a Sud il CRISPI, scritti in rosso.
«Cercavo il Saracen da due anni - racconta Guido Gay - da quando ho avuto una richiesta di collaborazione da parte della Andrea Malraux, nave da ricerca del Ministero della Cultura francese». La tv francese sta infatti lavorando a un documentario sulla liberazione della Corsica, e siccome il Saracen aveva contribuito alle operazioni sbarcando agenti e truppe speciali sulle coste dell’isola, la troupe voleva trovare il relitto del sommergibile e filmarlo. «All’inizio non abbiamo avuto fortuna - continua Gay - poi ho proseguito da solo la ricerca, con il mio catamarano Daedalus, finché due settimane fa ho individuato il sommergibile». Il piroscafo Crispi, invece, «l’ho trovato per caso prima, il 31 maggio scorso». Dopo il team del Département des Recherches Archéologiques Subacquatiques et Sous-Marines, anche gli inglesi si sono fatti avanti quando hanno saputo del ritrovamento del loro sommergibile, e una targa commemorativa è già pronta per essere sistemata sul sottomarino.
Marina Mercantile
di Achille Rastelli (Storico Italiano)
Trasporti-di-truppe
L'attività principale nella quale furono impiegate le navi passeggeri fu però quella del trasporto di truppe verso i fronti oltremare, cioè verso la Libia, l'Albania, e poi, dall'inverno 1942-43, la Tunisia.
Lo sviluppo dell'aeronautica consentiva l'impiego di aerei da trasporto per l'invio immediato di piccoli reparti o per il rapido ripiegamento di feriti gravi; a volte furono impiegate in queste missioni anche navi da guerra, sacrificandole in un ruolo per il quale non erano state progettate.
La maggior parte di questo traffico si concentrò però, come era ovvio, sulle navi passeggeri, alle quali va attribuita la maggior parte dei militari trasportati e giunti a destinazione, per un totale di 1.242.729 soldati di tutte le armi.
Non è questo il luogo dove ricordare tutte le missioni svolte da queste navi, perché la loro storia è parte integrante della guerra dei convogli e, quindi, della storia della guerra sul mare della Regia Marina. Basti qui ricordare che, per la tipologia di unità, furono tutte della flotta Finmare e quindi sempre navi dello Stato, che per queste missioni viaggiarono quasi sempre come navi requisite, mai però militarizzate, e sempre con equipaggi della Marina mercantile.
Alcune di queste navi furono protagoniste di alcuni fra i più tragici episodi della guerra dei convogli: Neptunia e Oceania vennero affondate il 18 settembre 1941 dal sommergibile britannico Upholder, e morirono 384 uomini, dei 5818 che erano a bordo. La Conte Rosso, partita da Napoli per Tripoli il 24 maggio 1941 in convoglio con l'Esperia e la Marco Polo, venne silurata, sempre dal sommergibile Upholder, che le colpì con due siluri.
La nave affondò in 14 minuti, e morirono 1291 fra soldati e marinai; 1441 furono salvati dalle siluranti di scorta e dalla nave ospedale Arno giunta da Messina.
Una delle perdite più sentite dalla Marina mercantile italiana fu quella della motonave Victoria, una delle più belle e celebri navi italiane, colpita da aerosiluranti britannici al largo della Sirte. Perirono con la nave 249 uomini, tra cui il Capitano Arduino Moreni, Comandante della Victoria, ed il Comandante militare, capitano di vascello Giovanni Grana.
L'elenco delle navi passeggeri affondate durante missioni di trasporto truppe è tragicamente lungo: Sardegna, Viminale, Francesco Crispi, e Liguria del Lloyd Triestino, Caliteli, Esperia, Galilea (sulla quale morirono 995 alpini), Quirinale e Celio dell'Adriatica, Città di Agrigento, Città di Bastia, Citta di Tripoli, Firene, Catalani, Puccini, Aventino, Città di Catania della Tirrenia, più altre catturate dai tedeschi.
Alla fine della guerra erano poche le navi passeggeri rimaste in servizio, e su quelle poche si doveva contare per il riprendere il traffico civile, essenziale in quei primi mesi del dopoguerra.
CONCLUDIAMO CON LA MAI LOGORA CITAZIONE DI
PRIMO LEVI
“Tutti coloro che dimenticano il loro passato, sono condannati a riviverlo”
Carlo GATTI
Rapallo, 2 Maggio 2018
BIBLIOGRAFIA:
- STORIA DEI TRASPORTI ITALIANI:
F.Ogliari, A.Rastelli, G.Spazzapan, Alessandro Zenoni.
Volumi: III-V-VII
- - LA MARINA ITALIANA NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE:
Ufficio Storico della Marina Militare
- - IL BOMBARDAMENTO DI GENOVA - di Alberto Rosselli
- - GENOVA IN FIAMME (Edito dal Secolo XIX)
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KUWAIT - CRONACA DI UNA COLLISIONE
KUWAIT
CRONACA DI UNA COLLISIONE
Il Kuwait é un emirato sovrano che si affaccia sul golfo Persico ed é incastonato tra l'Arabia Saudita a sud e l'Iraq a nord.
Il nome è il diminutivo di una parola araba che significa “fortezza costruita vicino all'acqua”. L'antico nome della regione era Qurayn.
il Kuwait è uno stato di modeste dimensioni, poco meno del Veneto, con una popolazione di un milione e 300.000 abitanti a cui si sommano due milioni e mezzo di immigrati, prevalentemente da Filippine, Pakistan e India, fondato su un’immensa risorsa, il petrolio, a cui si affianca una fiorente attività commerciale ed un welfare avanzatissimo.
Nonostante le dimensioni fisiche e demografiche, i numeri raggiungono quote considerevoli quando si vanno ad analizzare valori come la ricchezza, i livelli di produzione, investimenti e sviluppo.
La scoperta di enormi giacimenti petroliferi ha luogo negli anni ’30 del XXI secolo e lungo i decenni successivi, fino ad oggi, questa materia prima ha trainato lo sviluppo del paese. Uno dei fattori che contribuisce alla fama di apertura e democraticità del Kuwait è la sua costituzione, introdotta negli anni ’60.
Kuwait City é la capitale del Kuwait. Una città che si estende per 24 chilometri, unico grande centro abitato del Paese, presenta una grande varietà di grattacieli. Il più alto misura 400 metri ma c’è già l’idea di realizzarne uno ancora più ardito.
Oggi il Kuwait è una nazione che, pur nel pieno rispetto delle proprie tradizioni culturali e religiose, si sta aprendo molto all’Occidente e, in particolare all’Italia. Qui tutto ciò che è italiano piace moltissimo, dalla cucina alla moda alle auto, soprattutto le fuoriserie a marchio Ferrari o Maserati.
Grazie all’associazione Italia-Kuwait c’è stata la possibilità di conoscere da vicino questo Paese che è riuscito a ricostruirsi in tempo record dall’invasione di vent’anni fa da parte dell’Iraq.
MA IL MONDO PETROLIFERO DEL GOLFO PERSICO E’ MOLTO MENO ATTRAENTE……
CRONACA DI UNA COLLISIONE
T/n FINA ITALIA
Dati nave:
Anno di Costruzione |
Cantiere di Costruzione |
N° di Costruzione |
Armatore |
Bandiera |
1956 |
Ansaldo – Genova Sestri |
1509 |
Compagnia Marittima Palermitana - Palermo |
Italiana |
Stazza Lorda (t) |
Stazza Netta (t) |
Portata Lorda (t) |
Nominativo Internazionale |
Porto di Registro |
20.736 |
12.196 |
31.546 |
ICPA |
Palermo |
Mina Al Ahmadi, 25 Febbraio 1965.
Segue il Rapportino firmato dagli ufficiali di guardia che erano in manovra durante la collisione.
- Con la petroliera FINA ITALIA ci troviamo alla fonda a circa 2 miglia dalla testata del South Pier in attesa di ormeggiare per la caricazione di crude oil.
- Alle 03.00 il 2° Ufficiale di coperta allerta l’equipaggio riferendo che la nostra nave é attesa al North Pier di Mina Al Ahmadi (Kuwait) per caricare al pontile (Pier) N.11.
- Il North Pier Control ci fornisce le seguenti istruzioni:
- “Salpate e avvicinatevi per l’imbarco del Pilota”.
- Alle 03.10 si inizia a salpare.
- Alle 03.24 si dà il Pronti in Macchina
- Alle 03.30 àncora salpata; si procede ad andatura di manovra per il North Pier.
- Alle 03.42 il Nord Pier Control chiede la nostra posizione:
- “ci troviamo a 1,8 mg a Sud del Pier N.11. In avvicinamento lento essendo la nostra nave a “turbonave”.
- Subito dopo il N.P.C ci informa:
- “La T/N giapponese TOJO MARU ha disormeggiato dal Pier N.11 e ha preso il largo in direzione Levante”.
- Alle 03.45 il Pilota portuale della petroliera in movimento ci chiede via radio-VHF: “Può la TOJO MARU passarvi di prora tra voi e la costa”?
- Si risponde immediatamente: “ciò non é possibile non essendoci più spazio sufficiente per tale manovra - Stiamo procedendo per l’imbarco del pilota.
- Ci viene risposto OK a conferma della ricezione della nostra risposta (in inglese). Per non generare equivoci si segnala con due fischi brevi che si sta accostando a sinistra per lasciare maggior spazio alla nave in uscita verso il largo.
- Dalla TOJO MARU vengono emessi due fischi brevi per segnalare che anch’essi accostano a sinistra.
- Alle 03.48 si ferma la macchina per l’imbarco del pilota che sta dirigendo verso di noi sulla dritta.
- Improvvisamente si riscontra che la TOJO MARU, anziché accostare a sinistra come ha segnalato, sta accostando a dritta tagliandoci decisamente la rotta.
- Si mette la macchina Indietro a tutta forza per fermare il leggero abbrivo che ancora abbiamo in avanti per evitare la collisione.
- Sono le 03.50. Si chiede alla macchina manovra rapida e massima potenza indietro.
- Alle 03.52 si dà fondo l’ancora di dritta che rimane a picco essendo la nave ferma.
- La TOJO MARU sta intanto sfilando di prora ormai a poche decine di metri di distanza da noi e si ha l’impressione che stia sempre accostando a dritta proiettando la sua poppa contro la nostra prora.
- Infatti alle 03.53 la petroliera TOJO MARU urta col fianco sinistro, all’altezza del suo cassero poppiero, contro la nostra prora. Visto il rapido spostamento della sua poppa, l’urto é molto violento.
- Alle 03.56 macchina ferma. Si rimane all’ancora sul punto del sinistro a 0.6 miglia dalla testata Sud sul Rilevamento 316°, con due lunghezze di catena all’acqua.
- A causa dell’oscurità non si é in grado di constatare l’entità del danno, sia nostro che della nave giapponese. Ci si mette in contatto VHF con il N.P.C per assicurarci che non vi siano danni irreparabili a bordo della nave giapponese e per prestare eventuale assistenza. Ci viene riferito che non vi sono vittime tra l’equipaggio della TOJO MARU.
- Da quanto precede risulta evidente che si é agito con la massima prudenza e in ottemperanza al Regolamento Internazionale per evitare la collisione, ma che i nostri sforzi sono stati resi vani dalla manovra incomprensibile della TOJO MARU che essendosi dapprima allontana verso il largo, mostrandoci chiaramente il verde e passando a dritta della nostra prora, ha in seguito accostato verso di noi, cioè alla sua dritta per passare tra noi e la costa tagliandoci la rotta e inoltre segnalando la manovra di accostata a sinistra mentre accostava a dritta.
- Si fanno pertanto le più ampie riserve nei confronti di chi spetta, per tutti i danni subiti, visibili ed invisibili, per il tempo perduto, per eventuali perdite di nolo, per tutte le spese in qualsiasi modo sostenute in relazione al fatto salvo sempre il diritto dei proprietari della nave e dei noleggiatori d’intraprendere tutte le azioni ritenute utili per la salvaguardia dei loro interessi. Ritenendo l’incidente avvenuto per imperizia ed assoluta imprudenza da parte della TOJO MARU, si declina ogni e qualsiasi responsabilità.
Seguono le firme dei testimoni…….. omissis…….
Ripresa da terra, la TOJO MARU é appoggiata sul fondale. Soltanto le sovrastrutture rimangono emerse.
DINAMICA DELLA COLLISIONE
A = FINA ITALIA - B = TOJO MARU
La linea della costa é parallela alla rotta della nave B (TOJO MARU) (a destra) nel disegno.
I DANNI
La T/n FINA ITALIA rimase 40 giorni nel porto di Mina Al Ahmadi, affiancata presso una banchina isolata per essere sottoposta ad una “riparazione provvisoria” per renderla NAVIGABILE nel trasferimento in ballast (zavorra) verso l’Italia.
Una ditta norvegese fu incaricata di rendere stagna la prora (completamente schiacciata) con casse di cemento usate da sempre nei sinistri navali di questo tipo.
Il 1° Ufficiale di Coperta, l’Allievo Ufficiale di Coperta, il Nostromo e un Marinaio e che si trovavano al posto di manovra a prora, ebbero un comportamento eroico, ma disubbidirono all’ordine esplicito del Comandante che aveva loro impartito, con il Sistema Interfonico di bordo:
ABBANDONATE IL POSTO DI MANOVRA A PRORA!
Con zelo sicuramente eccessivo, la squadra di prora condotta dal 1° Ufficiale, rimase a prora per tentare l’impossibile: allascando e frenando l’àncora per “fare testa” con l’intento di spegnere l’abbrivo residuo.
Se La FINA ITALIA si fosse trovata in posizione avanzata soltanto di poche decine di metri, sarebbe stata colpita in una cisterna vuota con grande rischio di esplosione non essendo “gas free”.
Il Nostromo fu ricoverato in ospedale e successivamente sbarcato e rimpatriato a causa delle conseguenze fisiche sofferte nell’urto e per i traumi da shock da spavento. Il resto del personale riuscì ad arretrare e scendere dal cassero di prora prima che tutta la nave fosse investita da una intensa pioggia di scintille provocata dalla collisione e dallo sfregamento delle lamiere tra le due cisterne. Quel fuoco d’artificio fuori programma illuminò a giorno la rada di Mina e pensai: “Adesso tocca a noi saltare per aria… ma non era ancora destino…!
Buona parte di quei 40 giorni di sosta fu dedicata alle interrogazioni e testimonianze in Tribunale per l’istruzione della causa.
Alcuni anni dopo fui informato che la sentenza del Tribunale del Kuwait scagionò completamente la FINA ITALIA ed il suo equipaggio, attribuendo tutte le responsabilità della collisione al Comandante della TOJO MARU.
La sera prima di salpare per l’Italia: destinazione Fincantieri Muggiano di Spezia, il gigantesco norvegese Mr. Johanssen, responsabile dei lavori, pensò bene di festeggiare il suo FINE LAVORI ubriacandosi a bordo della FINA ITALIA.
Nessuno lo mandò via… ma ad un certo momento della notte volle togliere il disturbo e, rollando e beccheggiando alla gran puta… cadde in mare dallo scalandrone che si ergeva ben 15 metri sul livello del mare.
Dioniso, dio "ibrido" dalla multiforme natura maschile e femminile, animalesca e divina, tragica e comica, ci mise la cosiddetta PEZZA…
mettendo nella gola del marinaio di guardia un urlo d’allarme terrificante!
Bastarono pochi minuti per formare due squadre di marinai. Due di loro si tuffarono in mare per imbragarlo, altri tre lo sollevarono in banchina e poi sull’ambulanza giunta nel frattempo per trasportarlo all’ospedale. Quell’ubriacone di due metri che lavorò giorno e notte con grande dedizione e professionalità sulla nostra prora, si sputtanò con l’unico baccanale … che si concesse in quei 40 giorni come premio dei risultati raggiunti!
Insomma: fece tutto da solo!
Il Comandante Johanssen fu salvato da due sobri marò-nuotatori italiani che non ebbero alcuna esitazione sul da farsi…
Durante il passaggio del Canale di Suez, prima di rientrare in Mediterraneo, il nostro Comandante ricevette dal norvegese una gradita lettera di ringraziamento dedicata all’equipaggio della Fina Italia …
ALCUNE CONSIDERAZIONI
Sono passati 53 anni esatti dalla collisione che poteva volgere in tragedia qualora, come abbiamo già fatto notare, fosse stata la TOJO MARU (fully ladden) a colpire la nostra petroliera all’altezza di una cisterna vuota, ma sicuramente con sacche di gas al suo interno. Come si può vedere da questa nota riportata sotto: il lavaggio delle cisterne con petrolio greggio e l’immissione di Gas Inerte nelle stesse sarà applicato per legge soltanto 20 anni dopo…
La gestione dell’impianto di gas inerte deve essere affidato a personale-abilitato.
Con decreto ministeriale in data 11/ 06 / 1986 ( GU 178 del 02/ 08 / 1986 ) sono stati istituiti corsi di addestramento sul lavaggio delle cisterne con petrolio greggio che devono essere seguiti dal personale addetto alle gestione di questa operazione.
Fu GRAZIE alla perizia del nostro Comandante Domenico Puppo di Porto Maurizio (Imperia) se oggi possiamo raccontare questa storia…
Quel giovane Comandante di 36 anni, erede di una “grande scuola” di marineria ligure, prese le decisioni giuste con grande freddezza, in una fase di grande confusione generata dall’imperizia totale sia del Comandante giapponese e forse anche per la imprecisa gestione del traffico operata dal Pilota UK del porto di Mina.
Del nostro Comandante ricordo un altro episodio significativo che accadde nel Canale della Manica durante una violentissima burrasca in cui la visibilità era pressoché azzerata! Navigavamo per NE verso la Danimarca, avevamo il radar in avaria e non esistevano ancora gli schemi di separazione del traffico navale nei punti più rischiosi.
Oltre ad avere un marinaio di vedetta a prora, il resto dell’equipaggio era allertato in vari punti esterni del Ponte di Comando per ascoltare i segnali da nebbia delle navi in transito da tutte le direzioni.
Improvvisamente si sentì il FISCHIO di una nave in avvicinamento da proravia. Il Comandante chiese al personale presente sul Ponte e sulle alette di plancia la direzione di provenienza del segnale. Tutti rispondemmo all’unisono: “Ci attraversa da sinistra! Tocca a lei manovrare e passarci di poppa!”
Ma il Comandante diede l’ordine che nessuno si aspettava:
“tutto il timone a dritta”
Aveva ragione lui! La nave proveniva dalla nostra dritta! E toccava a noi manovrare per evitare la collisione.
In seguito il Comandante mi spiegò che quel giorno sulla Manica, oltre ai piovaschi intensi, c’era un vento forte dalla costa di NE che dava una accelerazione al segnale da nebbia della nave spingendolo più avanti, tanto da farcelo percepire sulla nostra sinistra.
Il Comandante Puppo era un assiduo e tenace osservatore della direzione del vento e non si fece fregare! Noi si!
ROTTE D'INCROCIO TRA DUE UNITA' A MOTORE
A sinistra la FINA ITALIA
Quando due unità a motore hanno rotte d'incrocio quella che rileva l'altra sulla dritta deve lasciare a questa la rotta libera manovrando in modo deciso e tempestivo.
Quella lezione mi servì per tutta la vita.
E’ utile che il Comandante ascolti tutti i pareri,
ma la decisione finale spetta sempre e solo a lui!
Segnali sonori in condizioni di visibilità ridotta.
In un'area di visibilità ridotta o nei pressi di essa, sia di giorno che di notte, i segnali prescritti in questa Regola devono essere usati come segue:
a) Una nave a propulsione meccanica che ha abbrivo, deve emettere, ad intervalli non superiori a 2 minuti, un suono prolungato.
La personalità di quell’uomo magro e basso di statura, con i baffetti ben curati e due occhi neri, piccoli e penetranti, riusciva SEMPRE a trasmettere tranquillità e freddezza! Ma l’uomo aveva anche un’altra arma in dotazione: era molto “parsimonioso” nel dare confidenza al prossimo, ma riusciva altresì a comunicare lo stesso calore umano di quei padri di altri tempi, un po’ severi ma presenti, che sapevano insegnare per amore e non per esibizione, per amore del mare e della nave, non per mostrare una eccelsa preparazione a noi giovani che, se era il caso, lo capivamo da soli… No! Il Comandante Puppo era un vero MAESTRO di vita e di mare!
“PORCA DELLA PUTTANONA !!!!!”
Era la sua abituale espressione che usava nei momenti di tensione e, ancora oggi, mi risuona dentro quando mi ritrovo negli stessi frangenti e la uso come se lui fosse sempre al mio fianco.
Giunti a Spezia a velocità ridotta, terminai i miei 15 mesi d’imbarco e sbarcai per convolare a nozze con mia moglie Gun Oskarsson in una chiesa cattolica in Svezia. Era il 25 Aprile del 1965. Erano passati due mesi esatti dalla collisione.
Molti anni dopo, in una notte di tramontana, salii da Pilota su una cisterna che faceva il “costiero” ed era diretta agli Oli Minerali nell’avamporto di Genova. Quando al buio riconobbi la voce del Comandante Puppo, ci abbracciammo provando una emozione molto forte. Erano passati 25 anni da quel lungo imbarco ma, come per incanto, decine di ricordi riapparvero su quel piccolo Ponte di Comando: quelle storie di mare appartenevano ad entrambi.
Gli dedicai la manovra sulle ancore, mi fece i complimenti e gli dissi:
“Il mio maestro é sempre lei! Porca della Puttanona!"
CARLO GATTI
Rapallo, 13 Marzo 2018
INCENDIO A BORDO DELLA S/S HOMERIC
INCENDIO A BORDO DELLA S/S HOMERIC
S/S HOMERIC in navigazione durante la sua fulgida carriera di nave passeggeri
La notte del 1 luglio 1973, ci fu una bruttissima sorpresa. Eravamo in navigazione da New York verso i Caraibi, con destinazione Port au Prince (Haiti); all’altezza di Cape Hatteras, il mare era calmo, ma c’era una nebbia fitta, che riduceva a zero la visibilità. Il comandante era con noi sul ponte di comando ed eravamo concentrati davanti ai radar perché la zona era percorsa da pescherecci e motobarche. Il silenzio era interrotto ogni due minuti dalla sirena della nave, che segnalava la nostra presenza in mare in navigazione con nebbia. Improvvisamente suonò sul ponte di comando l’allarme incendio.
Erano le 03.55 del 1 luglio 1973, la spia dell’avvisatore elettrico segnalava un allarme incendio.
Evito di descrivere le varie fasi delle operazioni di spegnimento per non entrare in un mare di tecnicismi... La cucina fu distrutta completamente e si dovette invertire la rotta e tornare indietro per mettere la nave in sicurezza.
L’equipaggio era tutto italiano, eccetto i cinesi in lavanderia.
il Comandante si chiamava Alberto MAROSSA di LA SPEZIA e il Comandante in Seconda era Lorenzo ANTOLA (Lolly) di CAMOGLI (entrambi deceduti).
La notizia dell’incendio venne trasmessa da tutte le TV americane. Ricordo la bellissima intervista rilasciata dal primo passeggero americano che scese dalla nave: “se l’HOMERIC ripartirà nei prossimi giorni, sarò il primo passeggero a salire a bordo”.
Queste parole ci fecero sentire orgogliosi di quanto avevamo fatto. Non vi fu alcun ferito a bordo e la nave ritornò a New York con i propri mezzi. Avevamo dimostrato a tutta l’America cosa sanno fare gli ITALIANI!
Ancora oggi, il segreto del successo ottenuto, si può spiegare soltanto con l’amore che tutto l’equipaggio sentiva per quella nave che mentre andava a fuoco piangeva dalla disperazione triplicando la forza di contrasto al fuoco.
Purtroppo, a causa dei danni subiti dal calore sprigionato dalle fiamme, la nave ebbe danni irreparabili al ponte superiore che si era completamente deformato.
Dopo diverse perizie ed indagini, l’armatore decise di vendere la S/S HOMERIC ad un Cantiere di demolizione di Taiwan.
Soffrimmo tutti per quella inevitabile decisione!
Allora io ero Primo Ufficiale addetto alla sicurezza. L’HOMERIC era una nave molto lussuosa; tutto era prezioso su quella nave: l’arredamento era di tipo “classico”, i saloni erano ricchi di opere d’arte: quadri e sculture famose, arazzi e broccati sopraffini. Tanta ricchezza d’arte non l’ho mai più vista a bordo delle nuove navi. Era finita un’epoca! Dalle belle navi si passò alle FUN SHIPS.
"S/S HOMERIC in disarmo, sbandata e senza lance di salvataggio. A questo punto affiorano alcuni ricordi: "All'inizio si parlava di disarmo e demolizione a La Spezia, alla fine arrivò con grande sorpresa l'ultimo ordine: trasferimento della nave a TAIWAN per essere demolita. Ricordo che il comandante Antola preparò la nave per il viaggio e tutto andò bene. La nave partì con 50 persone d'equipaggio e due sole lance di salvataggio. Passò dal Canale di Panama. Al ritorno raccontava che la cosa triste e impressionante fu quando arrivati a Taiwan, il Pilota disse: AVANTI TUTTA... verso la spiaggia!"
C.S.L.C. Mario Terenzio PALOMBO
INFORMAZIONI STORICHE
S/S HOMERIC
In origine si chiamava MARIPOSA. una nave da 18.017 tonnellate lorda, lunghezza 192,63 mt x 24,20 mt con una velocità di 22 nodi. Poteva trasportare 475 passeggeri in prima classe e 229 passeggeri in classe economica. Costruito dal cantiere navale Betlemme Shipbuilding Corporation a Quincy, per la Società di Navigazione Matson di Los Angeles. Varata il 18 luglio 1931. La nave fu utilizzata sulle rotte San Francisco - Honolulu - Sydney e nel 1941 entrò in servizio come trasporto della US Navy. Alla fine della guerra fu posta in disarmo ad Alameda nel 1953 fu venduta e rinominata HOMERIC e passò sotto la bandiera di Panama. Fu completamente ristrutturata e con sistemazione per 147 passeggeri di prima classe e 1.096 passeggeri di classe turistica. Iniziò regolarmente la linea tra Southampton - New York con partenze nel 1955 e Le Havre - partenze di Montreal nel 1957. Dal 1963 è stato utilizzata come nave da crociera e nel 1973 dopo un grave incendio fu ritenuto antieconomico ripararla e fu venduta per la demolizione a Taiwan.
Ringrazio il Comandante C.S.L.C. Mario Terenzio Palombo per il contributo di esperienza e conoscenza offerto al sito di Mare Nostrum Rapallo. Anni fa Mario fece per Mare Nostrum una brillantissima conferenza sulle navi della Costa Crociere con la quale svolse gran parte della sua eccellente carriera che qui sintetizzo:
“Sono nato a Savona il 30 agosto 1942, da famiglia di tradizioni marinare: mio padre Francesco, autentico “lupo di mare” era originario di Porto Santo Stefano (Monte Argentario), mia madre Renata Mattera, era dell’Isola del Giglio. La mia famiglia nel 1935, per esigenze di lavoro, si trasferì in Liguria, nella pittoresca cittadina di Camogli. Mio nonno Biagio, già armatore del pinco-goletta ”Nettuno”, comandato da mio padre, si mise in società con una famiglia camogliese ed iniziò i trasporti e la vendita a Camogli e Santa Margherita Ligure, di carbone e legna proveniente dalla Sardegna. Mi sono diplomato nel 1963 all’Istituto Nautico “Cristoforo Colombo” di Camogli. Dopo 9 anni di esperienze su navi da carico e petroliere, nel 1972 iniziai la mia carriera su navi passeggeri con la società di navigazione Home Lines imbarcando sulla T/n HOMERIC con il grado di Primo Ufficiale e, subito dopo, sulla T/n DORIC. Raggiunsi il grado di Com.te in 2nda, nel 1979 sulla T/n OCEANIC e, il mio primo comando nel 1982 sulla M/N ATLANTIC, di cui avevo seguito l’allestimento, in Francia, da Com.te in 2nda.
Seguii anche l’allestimento in Germania della nuova M/N HOMERIC. Nel novembre del 1988 questa società fu venduta e venni, nello stesso mese, assunto dalla società Costa Crociere, imbarcando da Com.te in 2nda sulla T/n EUGENIO COSTA e, pochi mesi dopo, ripresi il grado di comandante sulla CARLA COSTA.
Con la società COSTA CROCIERE ho maturato sempre più la mia esperienza professionale partecipando a vari allestimenti di nuove navi, con l’affidamento del comando di navi prestigiose.
Con la Costa Crociere ho comandato : CARLA COSTA – COSTA ROMANTICA- COSTA CLASSICA- COSTA VICTORIA- COSTA ALLEGRA - COSTA ATLANTICA- COSTA MEDITERRANEA – COSTA FORTUNA
Allestimenti : COSTA ROMANTICA – COSTA VICTORIA – COSTA FORTUNA
Sono Rimasto a ruolo con la Costa Crociere sino al giugno 2007, ritirandomi in pensione
ALCUNE INFORMAZIONI TECNICHE
Sulle navi devono essere fatti conoscere alle persone imbarcate, a mezzo di cartelli stampati con grossi caratteri, i segnali di allarme per i seguenti casi di emergenza:
a) "uomo in mare": uno squillo di sirena oppure un colpo lungo di fischio quando manchi la sirena;
b) "incendio grave a bordo": due squilli lunghi di sirena.
c) "allarme generale": una successione di non meno di sette colpi brevi di fischio o squilli brevi di sirena, seguiti da uno lungo, insieme con il suono della suoneria di allarme e degli altri apparecchi sonori eventualmente esistenti nei vari locali.
d) "abbandono nave": Ordine del Comandante per altoparlante, seguito dal suono continuo dei campanelli di allarme fino a quando l'abbandono della nave non é completato.
I naviganti sanno molto bene che tra tutte le emergenze che possono accadere a bordo, l’INCENDIO GRAVE é il più temuto sia perché incide sulla respirazione delle persone coinvolte, sia perché esso va domato con l’organizzazione e la capacità dell’equipaggio di gestire e coordinare tutte le procedure del caso le quali variano sempre in base a tanti fattori, non escluso quello meteo.
Sul sito di Mare Nostrum, abbiamo dedicato l’intera Sezione Navi e Marinai-Salvataggi e Disastri al racconto di molti incendi esplosi su navi italiane con l’intento di sensibilizzare sia gli equipaggi che i passeggeri.
Niente e nessuno, come la Storia Navale, può INSEGNARE quanto sia importante l’esercitazione e la disciplina per riuscire a neutralizzare un INCENDIO a bordo di qualsiasi tipo di nave.
A cura del Com.te Carlo Gatti
Webmaster del Sito: Mare Nostrum Rapallo
23.10.1971 - INCENDIO SULLA ANNA C.
23.10.71
INCENDIO
a bordo della nave passeggeri
“ANNA C.”
(Ex Southern Prince)
LA ANNA C. FU LA PRIMA NAVE PASSEGGERI
DELL’ARMAMENTO COSTA
SOUTHERN PRINCE - Fece una brillante carriera durante la Seconda guerra mondiale. Partecipò allo Sbarco in Normandia
ANNA C. A Genova, Ponte dei Mille Levante n.3
Anna C. (ex-Southern Prince - Prince Line)
Breve Storia della Southern Prince
- 1929: Varo
- 1940: Requisita dalla Marina Reale Britannica e ribatezzata HMS Southern Prince
- 1941: Silurata da un U.Boot tedesco
- 1944: Partecipa allo Sbarco in Normandia
- 1946: Viene restituita alla Prince line
- 1947: Viene acquistata dalla Costa Crociere
- 1971: Subisce un grave incendio a Genova
- 1972: Viene demolita presso i Cantieri Lotti di La Spezia
La ANNA C. fu acquistata nel 1947, entrò in linea per Rio de Janeiro e Buenos Aires l’anno successivo, dopo aver compiuto importanti lavori strutturali. La prima nave passeggeri della Flotta Costa iniziò il servizio di linea da Genova per Buenos Aires il 31 marzo 1948. Innovativa e pionieristica, era dotata di aria condizionata in tutti gli alloggi per i passeggeri. Con Anna C. inizia un sodalizio professionale con l’architetto Giovanni Zoncada e per trent’anni gli interni delle navi Costa porteranno la sua firma. Tre anni dopo sostituì i motori principali e la nave raggiunse i 20 nodi di velocità. Nel 1959 aumentò la capacità-passeggeri e portò la propria stazza a 12.030 grt. Per quasi tutti gli anni ’60, la Anna C. trascorse i mesi invernali ai Caraibi e quelli estivi nel Mediterraneo. Fu demolita a La Spezia nel 1972.
ANNA C. (ex Southern Prince)
Varo....................U.K. 1929
1a - Stazza Lorda........10.917 tonn.
2a - Stazza Lorda........12.030 tonn.
1a Lunghezza.............157.3 mt.
2a Lunghezza.............159.7 mt.
Armatore....................COSTA LINE
ZONA INCENDIO
Porto di Genova – Calata Sanità – La nave, ormeggiata di punta
(due ancore-poppa a terra), era in disarmo nell’attesa di essere trasferita a La Spezia per la demolizione, oppure d’essere venduta ad Armatori Greci per l’impiego in Mediterraneo.
I FATTI
La prima nuvola di fumo nero si sprigionò dalla Anna C. alle 13.05.
Scattò immediatamente il segnale d’allarme e dopo qualche minuto
giunsero in banchina, sotto la poppa della nave, le prime autobotti dei Vigili del fuoco e le Autorità Marittima e Portuale.
Via mare, arrivarono prontamente le lance dei VVFF e due potenti rimorchiatori. Dal cielo comparve l’elicottero del maggiore Enrico che compì numerose evoluzioni di ricognizione.
I PERICOLI
- La nave era vecchia ed in quell’occasione aveva un equipaggio ridotto.
- A calata Sanità vi erano numerosi depositi di carburante a distanza ravvicinata.
- Un’altra nave passeggeri, la Galaxy Queen era ormeggiata, anch’essa di punta, ad una decina di metri soltanto, dalla Anna C.
LE OPERAZIONI DI SOCCORSO
Alle 13.15 iniziarono le prime operazioni di raffreddamento delle lamiere. A bordo del rimorchiatore d'altura TORREGRANDE, il generale Luigi Gatti, Presidente del Consorzio Autonomo del porto del porto, riuniva a rapporto il Comandante della ANNA C. Cap. Stuparich, il colonnello L.Fignone, dirigente dell'Ufficio Marittimo del Cap, il colonnello A. Sala, l'ing. Capuccini, comandante dei VVFF.
Ne scaturiva l’ordine di spostare la Galaxy Queen.
La prima squadra dei VVFF localizzò l’incendio nella zona poppiera, dove lingue di fuoco fuoriuscivano dagli oblò d’ambedue le murate della nave.
- Verso le 14.00, per effetto delle circa 400 tonnellate d’acqua imbarcate in funzione antincendio, la nave sbandò a dritta. Furono subito attivate le pompe d’esaurimento a grandi masse del Torregrande e si rallentò al minimo l’immissione d’acqua.
- Furono portati a terra e a bordo della GALAXY QUEEN dei cavi per frenare o trattenere la ANNA C. da uno sbandamento fuori controllo, preludio di un possibile quanto tragico affondamento in porto.
- Nel frattempo le temperature e le emissioni di gas a bordo e nei dintorni raggiunsero limiti insopportabili.
- Verso le 15.00 fu ricoverato un vigile del fuoco, svenuto e con sintomi d’asfissia: guarirà in sette giorni.
“Muoversi dentro una nave in fiamme, dove il pavimento scotta sotto i piedi, le pareti sono roventi e l’aria in circolazione, satura di gas d’ogni genere, può uccidere in pochi minuti l’uomo più robusto”.
Commentò sottovoce un anziano volontario del pronto soccorso.
Erano cinquanta i vigili del fuoco impegnati sull’Anna C. Salivano a bordo a due per volta con l’autoprotettore sulle spalle. Uno aveva il compito di gettare la schiuma e l’acqua sulle fiamme, l’altro con il compito di gettare acqua sul compagno. Le squadre si alternavano con ritmi di mezz’ora e ad ogni rientro si faceva il punto della situazione a bordo del Torregrande.
L’incendio era scoppiato nel ripostiglio della biancheria e si propagò poi verso le cabine equipaggio e quelle dei passeggeri sui Ponti B-A fino agli alloggi del Ponte C e del Ponte passeggiata, dove andarono distrutti il cinema e la Chiesa.
Alle 17.00 la nave era passata da 12° a 6° di sbandamento.
All’interno della nave si registrarono cedimenti di pavimenti al Ponte/A, mentre i vigili lottarono ancora un paio d’ore contro gli ultimi focolai d’incendio.
Alle 19.00 il generale Luigi Gatti dichiarò che l’incendio sulla Anna C. poteva considerarsi domato.
I PROTAGONISTI
Come partecipanti e testimoni dell’opera di soccorso alla nave, portiamo sempre vivo nella memoria il coraggio e l’efficienza di tutti gli addetti alla sicurezza del nostro porto.
*L’autore di questo articolo era, in quella drammatica occasione, il comandante del M/r Torregrande.
ALBUM FOTOGRAFICO
ANNA C.
Carlo GATTI
Rapallo, 23 Gennaio 2018
AGGUATO AL CONTE ROSSO - 1297 LE VITTIME
AGGUATO AL CONTE ROSSO – 1297 LE VITTIME
Il "Lloyd Sabaudo", concorrente principale di N.G.I., mette in cantiere due nuovi e grandi transatlantici: il Conte Rosso e il Conte Verde. L’iniziativa nasce dalla consapevolezza di dover dare una chiara risposta alle grandi Compagnie di navigazione europee che gestiscono il mercato internazionale delle navi passeggeri. Con l’entrata in linea dei due CONTI anche l’Italia farà presto parte della competizione internazionale.
Il Conte Rosso fu impostato nel cantiere William Beardmore & Co in Scozia nel giugno 1914, ma le necessità belliche degli inglesi costrinsero il Lloyd Sabaudo a vendere l'unità ancora incompleta agli inglesi che, non solo ne cambiarono radicalmente il progetto, ma trasformarono la nave in portaerei con il nome H.M.S Argus. Nel 1918, terminata la Prima guerra mondiale, la compagnia italiana decise di riacquistarlo confermando anche la costruzione di un transatlantico gemello, il Conte Verde. Il 16 gennaio del 1920 ebbero inizio le costruzioni di entrambe le navi che furono impostate nello stesso cantiere.
Il CONTE ROSSO all’ancora
Tipo: Transatlantico
Proprietà: Lloyd Sabaudo-Genova-Lloyd Triestino-Trieste
Costruttori William Beardmore & Co. Cantiere Dalmuir,Glasgow (Scozia)
Varo 10 febbraio 1921
Entrata in servizio 29 marzo 1922
Destino finale Affondato il 24 maggio 1941
Caratteristiche generali:
Stazza Lorda: 18.017 tsl
Lunghezza 180,1 mt.
Larghezza 22,6 mt.
Propulsione: Vapore
2 gruppi turboriduttori a doppia demoltiplicazione
Potenza: 19.200 cv.
Velocità 18,5 nodi
Equipaggio 442
Passeggeri:
212 in prima classe
269 in seconda
310 in economica
510 in terza
SINTESI STORICA DEL TRAGICO AFFONDAMENTO
Alle 20.41 - AGGUATO AL
CONTE ROSSO
La Seconda Guerra Mondiale era ormai iniziata e la Marina Militare a Genova lo requisì di nuovo per adibirlo per l'ennesima volta al trasporto di soldati in Libia, oltre a migliaia di coloni. Ma ben presto il Conte Rosso andò incontro al suo tragico destino. Il 24 maggio 1941 il transatlantico partì da Napoli alle 4.40 del mattino insieme ad un convoglio formato da altri 3 grandi transatlantici: il Marco Polo, l'Esperia e la motonave Victoria, oltre a numerosi cacciatorpediniere e incrociatori di scorta. Il convoglio era diretto a Tripoli ma sulla rotta nelle vicinanze di Siracusa fu intercettato dal sommergibile inglese HMS Upholder che alle 20.40 lanciò un siluro che colpì la prua del Conte Rosso che si trovava a capo del convoglio e quindi facile bersaglio. Sebbene la nave iniziò fin da subito ad imbarcare acqua, l'affondamento sembrava avvenire lentamente lasciando la speranza a tutti i soldati a bordo di poter raggiungere le scialuppe e mettersi in salvo...ma un secondo siluro lanciato dall'Upholder provocò una tremenda esplosione che portò il CONTE ROSSO a colare a picco di prua in soli 10 minuti, innalzando la poppa sopra il livello dell'acqua e quindi senza lasciare scampo alle migliaia di persone che ancora si trovavano sui ponti del transatlantico.
La nostra Liguria pagò il suo tributo alla nazione con la perdita di oltre 500 navi mercantili. Nel conto non sono inclusi i pescherecci ed il naviglio minore. Lo storico navale Maurizio Brescia, nelle sue ricerche, ci ricorda quanto segue:
- da “ Cacciatorpediniere classe Navigatori” (Albertelli-Parma 1995): Il 18 settembre 1941, in posizione 33°02'N-14°42'E, il sommergibile Upholder silurava ed affondava i transatlantici Oceania e Neptunia. (Dei 5.818 uomini a bordo delle due navi, ne morirono 384). Il Da Recco, capo scorta, recuperò ben 2.083 naufraghi delle due navi e protesse poi il rientro a Napoli del Vulcania, unico superstite del convoglio”.
- da: “Cacciatorpediniere classe Freccia/Folgore/Maestrale e Oriani” (Albertelli-Parma, 1997): “…Quando la formazione si trovava ormai sulla rotta di sicurezza per l'entrata a Tripoli, alle 10.20 del 20 agosto 1941, il sommergibile inglese Inique silurò ed affondò l'Esperia; le unità di scorta recuperarono complessivamente 1.139 naufraghi, e tra questi 417 furono salvati dallo Scirocco …”
- “..La 3° Divisione assicurava la protezione a distanza della formazione e, vista l'importanza della missione, a bordo del Conte Rosso si trovava il contrammiraglio Canzonieri nella veste di capoconvoglio. Le numerose unità di scorta, la cui consistenza era stata rinforzata, all'altezza di Messina, da tre ulteriori torpediniere, non poterono però impedire il siluramento del Conte Rosso avvenuto alle 20.41 dello stesso 24 maggio, da parte del sommergibile britannico Upholder…”
Una vasta eco ebbe la perdita del glorioso Conte Rosso, militarizzato ed adibito al trasporto truppe. L'affondamento avvenne mentre navigava in convoglio a poche miglia da Siracusa. Morirono 1.297 dei 2.729 militari che si trovavano a bordo, diretti in Libia.
IL CONTE ROSSO IN NAVIGAZIONE
A bordo vi erano 2729 uomini tra soldati ed equipaggio, 1297 dei quali persero la vita nel naufragio...i sopravvissuti vennero recuperati quasi immediatamente proprio perchè il luogo dell'affondamento non distava molto dalla costa. Il relitto del Conte Rosso riposa nei pressi della costa di Siracusa, città che ancora oggi ricorda il naufragio con grande dedizione e commozione.
Il transatlantico Conte Rosso è noto per essere stato il naufragio in cui persero la vita il maggior numero di soldati durante la Seconda Guerra mondiale.
IL SOMMERGIBILE "KILLER" HMS UPHOLDER
In missione, durante la caccia AS (antisom) nel mare di Tripoli il 14/4/1942 la torpediniera Pegaso, comandata dal C.C. Francesco Acton, intercettò un sommergibile e sganciò su di esso diverse bombe di profondità colpendolo, era lo Upholder? Un sommergibile considerato dalla marina britannica per le sue ardue imprese un fiore all'occhiello. Questo affondamento è stato contestato con forza dallo Stato Maggiore della Marina Tedesca il quale asseriva che il sommergibile britannico Upholder era stato affondato il 14 aprile alle ore 13,10 dagli aerei Me-110 e Do-17 i quali, durante la scorta convoglio denominata operazione "Aprilia" hanno individuato un sommergibile, scoperto probabilmente dalla scia lasciata dall'idrofono. Gli aerei, sul bersaglio hanno sganciato un numero rilevante di bombe. In seguito, nel giro di ricognizione i piloti hanno avvistato in mare una macchia scura e diversi oggetti non bene identificati. Un rapporto della ricognizione aerea italiana asseriva che la mattina del 13 aprile il sommergibile Upholder si trovava a largo di Misurata, quindi la seconda ipotesi rimane la più attendibile.
Nota:
Posizione con le COORDINATE ESATTE DEL PUNTO DELL‘AFFONDAMENTO.
Notizia tratta dall’Estratto Notiziario Storico di Augusta N° 24 Edizione 2001.
Il volume Navi Mercantili Perdute Edito dall’Ufficio Storico M.M.I. precisa il punto di affondamento in 36°41′ Nord / 15°33′ Est. – Corretto nel 1977 in 37°01′ Nord / 15°33’ Est. Confermato anche dall’individuazione del relitto.
Riportiamo quanto scritto dallo storico augustano Francesco Carriglio:
Alle ore 20:41, in prossimità di Capo Murro di Porco di Capo Passero, l’incontro del convoglio con il sommergibile Upholder fu fatale, il sommergibile colpì il Conte Rosso con un primo siluro che distrusse la zona macchine, rallentandone così la velocità, un siluro successivo colpì la stiva provocando una grande esplosione; il Conte Rosso si inclinò su un fianco, gli uomini sopravvissuti all’esplosione cercarono di mettersi in salvo adoperando mezzi di salvataggio e di fortuna, ma il tempo fu tiranno per alcuni di essi, dopo solo 8 minuti dal secondo siluro il piroscafo si inabissò trascinando con esso molti uomini, adagiandosi su un fondale di 2.000 metri. Le navi di scorta coordinarono subito una azione offensiva nei confronti del sommergibile lanciando delle bombe di profondità, ma ben presto alcune di esse dovettero interrompere l’azione per dare soccorso alle moltissime persone che chiedevano, o meglio imploravano aiuto, il resto del convoglio, scortato da alcune Unità, proseguì per il porto di destinazione. Il Comando Marina di Augusta in allarme predisponeva l’organizzazione dei soccorsi, il prezzo di vite umane fu altissimo, al momento della tragedia sul piroscafo Conte Rosso vi erano 2.727 persone di cui 1.430 si salvarono e 1.297 morirono, di esse solo 290 salme furono recuperate dai mezzi di soccorso. La notizia non tardò a diffondersi tra la popolazione augustana. Alle ore 05:00 del mattino successivo alcuni superstiti del Conte Rosso giunsero nel porto di Augusta. Le banchine del porto si affollarono improvvisamente di persone che si volevano prodigare nell’aiuto agli sventurati naufraghi sopravvissuti all’immane tragedia. La cittadinanza diede il suo aiuto ai naufraghi offrendo ad essi cure, ospitalità, vestiario, vitto, alloggio ed affetto. Una cittadina che prese a cuore la sventura di questi uomini che nel tempo non hanno mai dimenticato l’affetto e la simpatia per questa città.
Il sottomarino KILLER UPHOLDER RIPRESO DA DUE ANGOLAZIONI DIVERSE.
La sua devastante carriera:
Fu comandato per la sua intera carriera dal Lt. Commander (equivalente del capitano di corvetta) Malcom David Wanklyn e divenne il sottomarino britannico di maggior successo della Seconda guerra mondiale, insignito della Victoria Cross e del Distinguished Service Order. Dopo un periodo di addestramento, partì per Malta il 10 dicembre 1940 e fu unito alla 10th Submarine Flotilla (la decima flottiglia) stanziata presso la base sottomarini dell’isola di Manoel, a nord de La Valletta, nello Stretto di di Marsamuscetto. Completò 24 ricognizioni, affondando 93.031 tonnellate di navi nemiche, ovvero il cacciatorpediniere Libeccio dopo la Battaglia del convoglio Duisburg (dal nome di uno dei piroscafi che lo componeva), due sommergibili (il Tricheco ed il Saint Bon), tre grossi trasporti truppe:
CONTE ROSSO, NEPTUNIA ed OCEANIA), sei navi da carico (Antonietta Lauro, Arcturus, Leverkusen, Laura C., Enotria, Tembien), una nave ausiliaria (il trasporto Lussin) ed un dragamine ausiliario (il B 14 Maria). Wanklyn fu insignito della Victoria Cross per una ricognizione nel 1941 quando attaccò un convoglio particolarmente ben difeso e affondò il transatlantico italiano tonnellate CONTE ROSSO la notte del 24 maggio. Danneggiò anche l'incrociatore italiano Giuseppe Garibaldi.
L'Europa era stata fortemente voluta dopo le due guerre mondiali, l'orrore delle trincee, dei gas asfissianti, delle bombe al fosforo, del delirio di onnipotenza di Hitler, Stalin e Mussolini. La seconda è stata generata dalle conseguenze della prima. Quando ancora i cannoni tuonavano e le atomiche americane, che avrebbero annientato le irriducibili resistenze del Giappone non erano state sganciate, alcuni uomini di buon senso, grande generosità e cultura, imprigionati dal regime del Benito nazionale, avevano concepito l'Unione Europea come antidoto ai nazionalismi ed alle follie dei dittatori.
Piercarlo Barale
L'azzurra linea del Mediterraneo, questo incantatore ed ingannatore di uomini audaci, manteneva il segreto del suo fascino e si stringeva al calmo petto le vittime di tutte le guerre, le calamità e le tempeste della sua storia, sotto la meravigliosa purezza del cielo al tramonto.
da L'Avventuriero di Joseph Conrad
Carlo GATTI
Rapallo, 24 novembre 2017
FOTO STORICHE - RELITTI DELLA CORNOVAGLIA
FOTO STORICHE DI RELITTI DELLA CORNOVAGLIA
CORNOVAGLIA
Castelli sul mare della Cornovaglia
Vele nella tempesta
AMERICA'S CUP
La Cornovaglia, situata nella punta estrema a Sud-Ovest della Gran Bretagna è uno dei luoghi sede di miti e leggende, di popolazioni guerriere e legate al mare. Se moltissimi sono i castelli e le fortificazioni delle grandi famiglie nobili spesso legate al casato reale inglese, non vanno dimenticate le splendide spiagge, più di 300 chilometri di costa, molto frastagliate, ricche di insenature, calette e spazi ove il tempo, il mare e il vento hanno lavorato le rocce ricreando luoghi con un’aura magica ed enigmatica.
La Cornovaglia é una terra ai confini del mondo, tutta da scoprire! Camminando lungo i sentieri del South West Coast Path, tra cielo e mare, tra straordinarie formazioni geologiche e storie di marinai, corsari, relitti e minatori, si ammirano le scogliere di Land’s End e della penisola di Lizard, rispettivamente il punto più occidentale e meridionale dell’isola inglese e i piccoli borghi di pescatori come St. Ives e Penzance. C’é di più: nel tratto dell’antico sentiero percorso dai pellegrini per andare sul percorso Micaelico e visitare la suggestiva isola di St. Michael, sorella minore di quella in Normandia.
ALBUM FOTOGRAFICO DI RELITTI
JEUNE HORTENSIE - 1888
British Ship MALTA wrecking 1889
ANDOLA wrecking
BUSBY cargo ship
JEANNETTE 1878
The UMBRE SHIP wreking 1899
PANDORA
The SOCOA at Cadgwith - 1906
The HANSY ship wrecking - 1911
The CROMDALE wrecking - Lizard Peninsula - 1913
German U-BOAT blown ashore
The ANDROMEDA 1915
LIBERTY - wrecking
The VERT PRAIRAL capsizing - 1956 -
THe ALACRITY - Cornwall - 1963
PINO SORIO
A cura di Carlo Gatti
1909-COLLISIONE: P.fo FLORIDA - P.fo REPUBBLIC
23.1.1909 ore: 05.00 a.m.
COLLISIONE
tra le navi passeggeri:
P.fo FLORIDA e P.fo REPUBLIC
Nave | Armamento | Stazza L. | Passeggeri | Equipaggio | Comandante |
Florida |
Lloyd Italico | 5.106 | 323 | 205 | Ruspini |
Republic |
White Star |
15.378 | 492 | 300 | Scalby |
"REPUBBLIC" IN NAVIGAZIONE
"FLORIDA" IN NAVIGAZIONE
Il REPUBLIC con le sue 15.400 t. viaggiò indisturbato per anni riscuotendo, come detto prima, un enorme successo tra l'alta società europea e statunitense di quell'epoca.
Nonostante ciò la vita di questo transatlantico fu breve e terminò tragicamente il mattino del 23 gennaio 1909, anticipando di 47 anni, con le stesse modalità tecniche, meteo e geografiche, la TRAGEDIA DELLA ANDREA DORIA che fu SPERONATA DALLA STOCKHOLM.
L'RMS Republic era in navigazione da New York verso Gibilterra, diretto in alcuni porti del Mediterraneo. Al largo dell'isola di Nantucket entrò in una fitta nebbia. Nonostante la velocità ridotta, le luci antinebbia regolarmente accese e la presenza del fischio di segnalazione, dalla fitta foschia spuntò la prua del transatlantico italiano Florida che speronò violentemente la poppa del Republic proprio nella zona della sala macchine e delle caldaie, che immediatamente iniziarono ad imbarcare acqua. Le vittime della collisione furono 6 in tutto: 3 passeggeri sul Republic e 3 membri dell'equipaggio del Florida.
Per la prima volta nella storia della navigazione fu utilizzato il telegrafo senza fii Marconi per lanciare l'S.O.S al quale risposero subito il transatlantico Baltic della White Star e la US Gresham. Nonostante la prua completamente devastata il Florida rimase a galla senza nessuno pericolo di affondamento...Al contrario invece il Republic iniziò da subito ad inclinarsi sul lato dello squarcio. I capitani e l'equipaggio di entrambe le navi furono molto efficienti e tempestivi nell'organizzazione dei soccorsi e dell'evacuazione del transatlantico inglese. Infatti immediatamente molti passeggeri del Republic furono trasferiti con le lance sul Florida che però, essendo un piroscafo di piccole dimensioni, si trovò subito in una condizione di sovraccarico...
Fortunatamente giunse sul posto il Gresham che recuperò velocemente altri naufraghi e infine il Baltic che ebbe difficoltà ad individuare il luogo dell'incidente a causa, appunto, della fitta nebbia. Tutti i passeggeri e i membri dell'equipaggio furono tratti in salvo e divisi tra le due navi giunte in soccorso e sul Florida stesso, capace ancora di navigare nonostante gli ingenti danni. Intanto sul luogo del naufragio arrivarono anche i piroscafi New York e Lucania della Cunard Line che insieme al capitano e alcuni ufficiali tentarono di legare e trainare il Republic su un basso fondale per poterlo in un certo senso salvare, ma fu tutto inutile, in quanto oltre ad essere già pericolosamente inclinato su un lato, aveva ormai imbarcato molta acqua...
SINTESI
Punto di collisione:
Nella zona del battello fanale di NANTUCKET , tradizionale punto di atterraggio a New York delle navi provenienti dall’Europa, nonché antica stazione di Pilotaggio e quindi importante stazione di smistamento del traffico navale in tutte le direzioni.
Causa della collisione:
A causa della nebbia fitta, tipica della zona, le due navi passeggeri si avvistarono quando ormai era troppo tardi per correggere le rispettive rotte.
I Fatti:
Il Florida era partito da Napoli diretto a New York. Il Republic proveniva da Boston a velocità di crociera ed era diretto a Liverpool. Il Florida che procedeva a velocità ridotta, riuscì a mettere le macchine indietro a tutta forza, ma l’urto fu inevitabile. Il Republic fu colpito sul fianco sinistro, a poppavia.
Le vittime: Nella collisione morirono sul colpo 3 membri
dell’equipaggio italiano e 2 di quello inglese.
I danni:
Nella meccanica dell’incidente il Florida ebbe la meglio, perché la prima paratia stagna resistette all’urto, mentre il danno sofferto dal Republic fu tragicamente determinante per la sua stabilità e galleggiabilità.
Il Florida, con la prora accartocciata, proseguì con i propri mezzi per New York.
Il Republic percorse un breve tratto al traino del Gresham e poi colò a picco a qualche decina di miglia da Nantucket.
Salvataggio:
Operazioni di L’S.O.S lanciato nell’etere dal Republic, subito dopo la collisione, fece convergere in zona una petroliera della Standard Oil, la City of Everest e poco dopo la famosa nave passeggeri Baltic della stessa White Star, sulla quale furono trasbordati e salvati tutti i passeggeri delle due navi.
Protagonista: Il tragico avvenimento ebbe un grande protagonista: LA TELEGRAFIA SENZA FILI DI GUGLIELMO MARCONI
Commento: La stessa identica storia si ripeterà 47 anni dopo, nelle stesse acque, tra l’Andrea Doria e lo Stockholm.
Rumoured cargo - Da un giornale dell'epoca:
There are many rumours that the Republic was carrying gold and/or other valuables when she went down. One rumour is that she was carrying gold worth $250,000 in American gold coins to be used as payroll for the US Navy's Great White Fleet. Another theory that she was carrying money for the relief effort for the1908 earthquake in Messina, Italy. A third theory, put forward by Captain Martin Bayerle, is that she was carrying $3,000,000 in gold coins as part of a loan to the Imperial Russia Governement. All of these values, of course, are in 1909 dollars when gold was $20 per ounce. Today, the coin values would bring the recovery to at least many hundreds of millions of dollars, and some experts have estimated that the recovery (with proper marketing of the recovered coins) could approach $5 billion or more, making the Republic salvage the largest treasure recovery of all time.
Questa è la breve storia dello sfortunato RMS Republic, conosciuto anche con il nomignolo "Millionaires' Ship", la nave dei milionari, in quanto fu meta ambita da illustri personaggi di quell'epoca, tra i più ricchi del mondo che la sceglievano per i loro viaggi di piacere e d'affari tra il Regno Unito e New York.
Inizialmente il Republic si chiamava SS Columbus ed apparteneva alla compagnia Dominion Line (controllata appunto da White Star). Fu impostato e costruito nei cantieri Harland & Wolf di Belfast tra il 1902 e il 1903. Fu varato il 23 febbraio 1903 e, completato l'allestimento, partì per il viaggio inaugurale da Southampton ad ottobre dello stesso anno riscontrando un enorme successo nonostante fosse stato concepito per lo più seguendo altissimi standard di sicurezza e stabilità, piuttosto che di bellezza e lusso.
Interni della nave REPUBLIC
La nave Florida fu costruita nel 1905 dalla Società Esercizio Bacini di Riva Trigoso, in Italia, per la società Lloyd Italiano. Stazzava 5.018 tonn., era lunga 116 metri e larga 14. Aveva motori a vapore a triplice espansione e doppia elica. Poteva viaggiare ad una velocità di 14 nodi e trasportare fino a 1.625 passeggeri, di cui 25 in prima classe e 1.600 in terza. Era utilizzata sulla rotta Italia-New York. Nel 1911 venne acquistata dalla società Ligure Brasiliana, sempre di bandiera italiana, e ribattezzata Cavour. Nel 1917 affondò in seguito a una collisione al largo delle coste italiane.
La prora della FLORIDA dopo la collisione con la REPUBLIC
LA REPUBLIC é ingavonata di prora e sta per affondare
CARLO GATTI
Rapallo, 16 novembre 2017
GENOVA, Tragico INCENDIO, M/n LINDAROSA
Genova, 27.7.1998
TRAGICO INCENDIO
a bordo del traghetto da carico italiano
“LINDA ROSA”
Nave |
Bandiera Compartimento |
Stazza Lorda |
Lunghezza-Larghezza |
|
LINDA ROSA
|
ItalianaBari |
18.469 tonn. |
198 metri 26 metri |
I FATTI
Il traghetto LINDA ROSA della “Società Levante Trasporti” era ormeggiato nel nostro porto a Ponte Canepa.
Alle 14.20 del 27.7.1998, la nave, con il Pilota a bordo, muoveva verso il Bacino n°5 con una bava di vento da sud.
Il Comandante Crescenzo Mendella aveva un problema:
OTTO CLANDESTINI A BORDO
erano stati scoperti in un container a bordo della nave. La Polizia italiana aveva però deciso di respingerli, nonostante le rimostranze del Comandante del traghetto, il quale denunciò alle Autorità la difficoltà della loro custodia, dovendo la nave entrare in bacino di carenaggio per le visite periodiche.
L’INCENDIO
Forse fu proprio la prospettiva di una sosta lunga e laboriosa che indusse i clandestini ad appiccare il fuoco ai materassi delle cabine dove si trovavano rinchiusi. La loro strategia doveva essere semplice ma efficace:
- creare uno stato d’allarme a bordo
- attirare l’attenzione dei guardiani e dei marinai
- uscire dalle cabine
- attuare un piano di fuga
TESTIMONE
Lasciamo ora la parola al pilota di turno Roberto Zucchi:
“In prossimità della testata Ponte Eritrea scattava l’allarme di Incendio a bordo e quasi contemporaneamente del fumo raggiungeva il ponte di comando.”
Mentre a bordo venivano prese immediatamente le misure del caso, il Pilota allertava le Autorità e quindi tutti i servizi di terra: VVFF-Ambulanze ecc…
Il Pilota prosegue così la sua testimonianza:
“…il rimorchiatore Giappone era a prora, il Brasile a spingere e il Francia a poppa. Con il ponte di comando completamente avvolto da un fumo nero e denso ed i motori principali fermi si continuava la manovra dalla controplancia e si decideva di attraccare al pontile OARN- CNR, che era la banchina libera più vicina. Durante la fase d’attracco, l’elicottero dei VV. FF. atterrava sulla coperta della nave con personale medico, mentre i VV.FF. di terra iniziavano l’opera di spegnimento”.
Quando divamparono le fiamme dalle cabine dei clandestini, scattò l’allarme antincendio a bordo della LINDA ROSA ed il nostromo, visto il pericolo, fu il più rapido ad abbattere le porte. Troppo tardi.
LE VITTIME
La tragedia, perché di questo si trattò, apparve in tutta la sua gravità quando l’equipaggio dovette prendere atto che: Cinque degli otto extracomunitari erano già morti per soffocamento.
L’incendio veniva completamente domato intorno alle Ore 16.15.
Il Capo Pilota Ottavio Lanzola, ad operazioni terminate, così si espresse:
“Il pilota di turno R.Zucchi ha lavorato con grande professionalità e tempestività nel rendersi conto della gravità di quanto poi sarebbe accaduto dando immediato allarme a tutti gli Enti interessati e collaborando al massimo col Comandante della nave con la calma e la freddezza indispensabili in queste circostanze. Inoltre ci siamo resi conto dell’inestimabile funzionalità della Torre di Controllo e di tutta la sua innovativa strumentazione, che ci ha consentito di coordinare e dirigere a distanza, sin dall’inizio, le operazioni in corso tramite le telecamere a circuito chiuso. Forse abbiamo salvato una nave con la rapidità dei nostri interventi, ma dentro ci sentiamo un vuoto, una specie di fallimento per non essere stati in grado di evitare, tra tutti, quell’orrenda tragedia che ancora una volta ha insanguinato il nostro porto.”
Carlo GATTI
Rapallo, 1 Novembre 2017
SUPER PETROLIERA "SALEM"- Una Frode Colossale
Super petroliera SALEM
Una Frode Colossale
Vista aerea della T/t Sea Sovereign, in seguito South Sun, ed infine T/t SALEM
Esiste un capitolo poco pubblicizzato della Storia Navale che riguarda le navi affondate senza una causa ben precisa e riscontrata: cattivo tempo, collisione, falla, errore di manovra … tolte le quali, rimane soltanto l’intenzionalità:
La nave deve essere affondata!
Queste pratiche criminali sono raccolte in un faldone antico come il mondo e precisamente da quando esistono forme di protezione finanziaria contro la perdita totale di una nave. In questi casi l’osso da spolpare é l’Assicurazione, un Ente che copre finanziariamente i danni al carico e alla nave. Il relativo PREMIO a carico dell’armatore é obbligatorio per tutte le navi in circolazione sui settemari. (Soltanto le supercargo in circolazione nel mondo oggi sono: 60.000).
Com’é noto, la categoria d’incidenti “provocati” a cui ci riferiamo, riguarda la TRUFFA concordata tra un armatore disonesto ed un equipaggio consenziente che definire “pirata” sarebbe molto riduttivo, non solo, ma come vedremo in questa sceneggiata compaiono anche altri attori insospettati …
L’obiettivo da raggiungere é sempre lo stesso: entrare in possesso della cifra STIPULATA CON L’ASSICURAZIONE per la perdita della nave.
Il fenomeno riguarda lo shipping internazionale, in particolare quello che si riferisce alle “bandiere ombra”.
Con il termine bandiera di comodo (o anche bandiera ombra o bandiera di convenienza) si indica la bandiera (Insegna) di una nazione che viene issata da una nave di proprietà di cittadini o società di un'altra nazione. In questo modo, il proprietario della nave può spesso evitare il pagamento di tasse e ottenere una registrazione più facile; la nazione che fornisce la bandiera riceve soldi in cambio di questo servizio.
I bassi oneri di registrazione, la bassa tassazione, la libertà dalle leggi sul lavoro e la sicurezza, sono fattori motivanti per molte bandiere di comodo.
Citando The Outlaw Sea di William Langewiesche:
«Nessuno pretende che una nave provenga dal porto dipinto sulla sua poppa, o che ci sia mai almeno passata vicino. Panama è la più grande nazione marittima sulla terra, seguita dalla sanguinosa Liberia, che a malapena esiste. Non c'è bisogno nemmeno di avere una costa. Ci sono navi provenienti da La Paz, nella Bolivia senza sbocco al mare. Ci sono navi che provengono dal deserto della Mongolia. Inoltre, gli stessi registri sono raramente basati nelle nazioni di cui portano il nome: Panamá è considerata una "bandiera" vecchio stile, perché i suoi consolati gestiscono la documentazione e raccolgono le quote di registrazione, ma la "Liberia" è gestita da una società in Virginia, la Cambogia da un'altra nella Corea del Sud e la fiera e indipendente Bahama da un gruppo che opera dalla City di Londra.»
Secondo l'International Transport Workers Federation:
«Le vittime sono più numerose sulle navi con bandiera di comodo. Nel 2001, il 63% di tutte le perdite in termini di tonnellaggio assoluto erano a carico di 13 registri di bandiere di comodo. I primi sei registri in termini di navi perse erano tutti bandiere di comodo: Panama, Cipro, Saint Vincent, Grenadine, Cambogia e Malta.
Questo é il quadro generale. Ora ci occuperemo di un caso “archiviato” da tempo, anche dalle vecchie generazioni… ma noi riteniamo che vada sempre ricordato sia per le dimensioni della nave colata a picco sia per il valore del carico “scomparso”... non in fondo al mare (per fortuna), ma venduto prima che la nave affondasse dolosamente.
Caso “emblematico” di un fenomeno ricorrente per il quale occorre essere sempre vigili. Un tempo si diceva:
“MAI abbassare la guardia!”
T/T SEA SOVEREIGN
Foto della collezione di Micke Asklander
Breve storia della nave
La superpetroliera T/T Sea Sovereign, fu ordinata nel 1969 a Stoccolma per la Società Salénrederierna AB e venne costruita presso il Cantiere Kockums di Malmö. Nel 1977 la Salénrederierna vendette la supertank a Pimmerton Shipping Ltd. (Liberia), mentre la South Sun e la gestione delle navi furono assegnate alla Wallem Ship Management Ltd. (Hong Kong). Due anni dopo, la South Sun fu venduta a Oxford Shipping Inc. (USA). La nave fu ribattezzata SALEM, ma rimase sotto bandiera liberiana.
Caratteristiche della nave
Class and type: VLCC
Tonnage: 96,228 GRT
Lunghezza fuori tutta: 316.08 m (1,037.0 ft)
Larghezza: 48.77 m (160.0 ft)
Altezza: 24.50 m (80.4 ft)
Potenza installata: 32,000 hp (24,000 kW)
Turbina: 1 × Stal-Laval steam turbine
Velocità: 16 knots (30 km/h; 18 mph) max
Equipaggio: 25
SALEM was a supertanker which was scuttled off the coast of Guinea on 17 January 1980, after secretly unloading 192,000 tons of oil in Durban, South Africa. The oil was delivered in breach of the South African oil embargo and the ship was scuttled to fraudulently claim Insurance.
T/T SEA SOVEREIGN presso il Cantiere Blohm & Voss, Hamburg, l’1 marzo 1972
© Foto Torkjell Bang Pedersen.
LA TRUFFA
Quattro giorni dopo aver lasciato Mina Al Ahmadi-Kuwait, porto di caricazione, il noleggiatore Mantovani di Genova vendette il carico trasportato dalla SALEM al gruppo SHELL per 56 milioni di dollari. Questo tipo di transazione non è raro.
A metà gennaio la SALEM ormeggiò ad una piattaforma off-shore di Durban (Sudafrica) e scaricò 180.000 tonn. Di crude oil.
Lasciata Durban, la nave fece rotta per un punto al largo della costa del Senegal, uno dei più profondi dell’Oceano Atlantico. Quando la nave si trovò sul posto, il Comandante diede ordine di aprire le valvole di presa/scarico mare (sea-valves) Kingston.
La SALEM si zavorrò fino a colare a picco.
Era il 17 gennaio 1980
MA SUCCESSE L'IMPREVISTO
Un’ora prima che la nave affondasse, una petroliera inglese BP’s British TRIDENT apparve all’orizzonte.
Non era stato lanciato alcun segnale di soccorso (S.O.S) nell’etere, e l’equipaggio della TRIDENT fu sorpreso nel vedere quella enorme petroliera che stava lentamente affondando mentre il suo equipaggio era da tempo sulle lance di salvataggio. Inoltre furono ancor più sorpresi quando videro che i naufraghi avevano con sé gli effetti personali raccolti in perfetto ordine nelle proprie valigie, non solo, ma avevano anche svaligiato la cambusa di bordo di generi alimentari di ogni tipo, anche di conforto: bottiglie, sigarette, liquori duty-free, ma non ebbero il tempo di salvare i libri di bordo….
L’equipaggio dichiarò ingenuamente:
“ ... che la petroliera affondò rapidamente, dopo diverse esplosioni…”
Ma la vera sorpresa, la più incredibile per il comando della TRIDENT, fu l’assenza completa di tracce del naufragio della nave nella zona, neppure una goccia delle 200.000 tonnellate di carico era stato versato in mare, nonostante la nave fosse esplosa in più riprese (così fu dichiarato dall’equipaggio) e quindi fosse affondata senza rilasciare neppure un pezzo di legno, un salvagente, una boetta… durante l’inabissamento. Neppure una vittima!
Ma la VERITA’ venne a galla ...
La famosa Compagnia di Assicurazioni LLOYD’S di Londra ricevette dall’armatore della nave la richiesta di 56,3 milioni di dollari per la “perdita totale” della SALEM, si trattava della cifra più alta mai ricevuta fino ad allora…
Gli investigatori dei LLOY’S si misero al lavoro e ben presto scoprirono che la SALEM aveva scaricato “segretamente” 192.000 tonnellate presso l'Oil Drilling Platform di Durban (Sudafrica) che era in quel periodo sottoposta a Sanzioni Economiche. (La risoluzione n. 1761 dell'assemblea generale delle Nazioni Unite fu approvata il 6 novembre 1962 in risposta alle politiche razziste di apartheid istituite dal Governo Sudafricano). Il crude-oil fu quindi sbarcato in questa splendida città dell’emisfero australe:
"in violazione dell’embargo petrolifero sudafricano"
Gli altri attori famosi di cui parlavamo erano: lo Stato Sudafricano e la Compagnia Petrolifera Sudafricana SASOL che acquistò il carico (crude-oil) per 43 milioni di dollari USA.
La truffa “sarebbe” stata più credibile se, una volta “imboscato il carico”, fosse sparita anche la superpetroliera per ATTI DI DIO. E così fu! Sotto questa voce "Atti di Dio" vengono catalogati tutti i disastri navali dovuti ad uragani, cicloni, tempeste ecc…
MA… i fatti andarono diversamente dal previsto; é stata sufficiente la stupidità dell’equipaggio ... ed un po' di sfortuna.
Le sentenze
Dalla rivista SEATRADE WEEK NEWSFRONT del Giugno 1995 Estrapoliamo alcuni dati interessanti:
Com.te della SALEM: Dimitrios Georgoulis
Direttore di Macchina: Antonis Kalamiropoulos
Capt. d’Armamento: Nikoleos Mitakis
Marconista: Vassilios Evagelides
Fred Soudan: Il regista dell’intera operazione
Nel 1985, tredici membri dell’equipaggio furono processati in Grecia.
- Otto furono assolti
- Capt. Mitakis fu condannato a 11 anni di carcere per aver scelto ad hoc un equipaggio adatto all'impresa.
- Il Comandante Dimitrios Georgoulis fu condannato a 4 anni di carcere.
- Il Direttore di macchina ed il 1° Macchinista ebbero 3 anni.
- Il marconista Vassilios Evagelides fu condannato a due anni per non aver lanciato l’S.O.S.
- Fred Soudan fu giudicato negli USA da una corte del Texas e fu condannato a 35 anni di carcere. Pare, però, che l'illustre "pirata" abbia scontato soltanto due anni della pena. Complice la moglie, evase dal carcere. A questo punto non é difficile immaginare che la coppia sia stata accolta "trionfalmente" su una di quelle isolette "appartate" del mare Oceano che battono "bandiera ombra".
- Gli investigatori stimarono che “la banda criminale” ricavò dalla frode un profitto di circa 20 milioni di dollari, di cui 4 milioni andarono a Fred Soudan.
Conclusione: Al termine della ricostruzione di questo colossale imbroglio, ho la sensazione d'aver scritto la sceneggiatura di un film d'avventura: INCREDIBILE, MA VERO!
Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi!
Carlo GATTI
Si ringrazia il dott. Cesare Ientile per la segnalazione del caso che fu definito: "La più grande truffa del Secolo".
20 Settembre 2017