ESODO EBREI

Il Contributo italiano alle navi dell’Aliyah Beth 1945-1948

di Achille Rastelli

 

· Gennaio 4, 2015

Presentato al Convegno AIDMEN tenuto a Roma il 17 novembre 2007 presso la Confraternita di San Giovanni Battista de’ Genovesi.

Dallo stesso convegno vedere anche La Scuola nautica del Bethar di Enrico Ciancarini.

Sostenuti dal sogno del Movimento sionista del focolare ebraico e spinti dalle paure degli anni Trenta diventate poi la realtà della Shoah, circa 125.000 ebrei affrontarono il pericoloso viaggio per mare nel periodo 1934-1948 nonostante i numerosi ostacoli posti dalla dura opposizione del Governo britannico.

All’inizio gruppi sionisti organizzarono e addestrarono dei giovani nei paesi europei e iniziarono a farli arrivare in Palestina, fra questi gruppi c’era già il Mossad e il Bethar. Il mandato inglese su quel territorio era stato assegnato in seguito alla Grande Guerra a cui era seguita la dichiarazione Balfour che aveva promesso una casa nazionale agli ebrei. La popolazione ebrea era dell’11% nel 1922 ed era salita al 30% nel 1937. Iniziarono le ostilità da parte degli arabi e che portarono a migliaia di morti. Per tentare di calmare la situazione gli inglesi introdussero delle limitazioni all’immigrazione ebraica mettendo nel 1939 il tetto di 75.000 immigrati per i successivi cinque anni.


L’EMANUEL con la bandiera ufficiosa ebraica

Lo scoppio della guerra e l’espansione sempre più grande della Germania nazista spinsero alla creazione di una massa di gente sempre più grande che cercava di scappare ad una morte quasi certa, ma erano pochi i paesi che volevano, o potevano accogliere un numero sempre maggiore di fuggiaschi perseguitati.

L’Agenzia ebraica per la Palestina nell’immediato dopoguerra diede vita ad un movimento per portare la gente in quel territorio; si alleò quindi al Mossad e diede vita all’operazione chiamata Aliyah Bet. Ci furono numerosi problemi, come la difficoltà di trovare le navi che erano a rischio confisca, le assurde leggi messe in atto in alcuni paesi per impedirne il viaggio, i rischi della navigazione, armatori disonesti e i tentativi inglesi di bloccare il traffico.

Fra tutti questi problemi c’è da rilevare la grande presenza di navi d’origine italiana coinvolte in questo traffico che ebbe un andamento alterno.

La prima fase, come detto, avvenne fra il 1934 e la primavera 1945, quando si sviluppò sempre di più l’antisemitismo nazista che invase quasi subito l’Austria e una parte della Cecoslovacchia provocando un’ondata di profughi e continuò per tutta la guerra con tentativi più o meno riusciti con la partenza da nazioni alleate della Germania, ma che consentivano un’emigrazione forzata dalle circostanze. Dalla fine degli anni Trenta e per gli anni di guerra il traffico si svolse con navi che partivano dai porti della Jugoslavia, della Romania e della Bulgaria fra difficoltà d’ogni genere fra cui anche il rinvio ai porti di partenza da parte degli inglesi.

Già nel 1934 una nave l’Emanuel, uno schooner a tre alberi, aveva innalzato una bandiera che faceva riferimento all’ebraismo con il sigillo di Salomone (o stella di Davide) al centro.


Il piroscafo STRUMA a Istanbul

Avvennero anche delle tragedie come quella dello Struma: partito da Costanza l’11 dicembre 1942 con 767 passeggeri, fu bloccato a Istanbul per due mesi dietro pressioni degli inglesi con la scusa che non era adatto alla navigazione.

Dopo lunghe discussioni la nave fu rimorchiata in Mar Nero per farla tornare a Costanza fra le urla di disperazione dei passeggeri, ma fu silurata dal sommergibile sovietico SC 213 comandato dal tenente di vascello Denezhko e si salvò solo una persona. Per inciso, su questa nave fu fatta da parte di un gruppo di sommozzatori inglesi una immersione commemorativa nel 2000.

Subito dopo la fine della guerra la pressione degli ebrei sopravvissuti alla Shoah era diventata molto forte, alimentata anche dal fatto che in Polonia, come a Kielce, avvenivano ancora dei pogrom con numerose vittime e nessuno voleva tornare in territori dove aveva subito tremende sofferenze.

Le prime partenze clandestine avvennero dall’Italia, un po’ per la sua posizione geografica, ma anche perché la principale centrale per l’immigrazione clandestina era il nostro Paese, grazie all’attivismo del capo del Mossad in Italia, Yehuda Arazi, e di Ada Sereni.

Alcune navi erano già partite dall’Italia: la Dalin era partita da Bari il 21 agosto 1945 con 35 persone a bordo, ma non si conosce l’origine di questa unità. Italiano erano invece il Nettuno (poi Natan) che effettuò due viaggi da Bari, in agosto 1945 con 73 persone e in settembre con 79.

Pure italiani erano il Gabriella, partito nel settembre 1945 dal Pireo con 40 persone e il Pietro, con due viaggi da Taranto nel settembre e nell’ottobre 1945

con 168 e 174 persone.

L’AMORTA come HANNA SHENESH

La prima unità di una certa importanza fu l’Amorta (poi Hannah Shenesh) partita da Vado il 14 dicembre 1945 con 252 passeggeri. La nave finì incagliata a Naharyia e tutti raggiunsero terra mediante delle corde.

L’HANNAH SHENESH in servizio nella Marina Israeliana

Fu poi la volta del motopeschereccio Rondine, ribattezzato Enzo Sereni: nel gennaio 1946 partì da Vado con 908 emigranti a bordo e arrivò il 17 di quel mese ad Haifa, catturato però da una nave inglese.

La successiva unità italiana fu il piroscafo Fede, ribattezzato Dov Hos, che doveva partire nell’aprile 1946 da La Spezia con 1014 passeggeri, ma fu bloccato dalle autorità italiane sollecitate dal governo inglese. Arazi approfittò dell’occasione per organizzare uno sciopero della fame che fu sospeso quando il segretario del partito laburista inglese Harold Laski salì a bordo per avviare un negoziato. Nel frattempo gli italiani accordarono la partenza purché una parte dei passeggeri passasse su un’altra nave, il motopeschereccio Fenice che adesso si chiamava Eliahu Golomb. Entrambe le unità poterono arrivare legalmente a Haifa.


Il RONDINE come ENZO SERENI

Il 30 luglio 1946 partì da un posto imprecisato dell’Italia il piropeschereccio Maria Serra (poi Katriel Yaffe) con 604 persone e il 3 agosto partiva sempre dall’Italia il Giuseppe Bertolli (poi Twenty Three) con 790 emigranti. Il primo fu catturato dagli inglesi e il secondo dovette accettare la cattura dopo una dura resistenza.

Nel frattempo erano partite dall’Italia altre 5 navi (una da Vado), ma non di bandiera italiana.

Il 23 agosto 1946 effettuava un secondo viaggio il Fede, questa volta con il nome di Arba Hacheruyot con 1.024 passeggeri. La nave fu catturata dopo una dura resistenza nel corso della quale alcuni immigrati annegarono.


Il FENICE come ELIAHU GOLOMB

L’11 settembre 1946 partiva dall’Italia l’Ariella, ribattezzato Palmach con 611 persone e il 9 ottobre 1946 partiva con 611 imbarcati per un secondo viaggio il Fenice, questa volta con il nome di Bracha Fuld con 806 persone. Entrambe le unità furono catturate e sul Palmach ci fu anche un morto.

Fino al marzo 1947 non partirono altre navi di origine italiana mentre altre navi di origine diversa partirono da Taranto e Metaponto. Il 18 gennaio 1947 partiva da Sète l’italiano Merica (ora Lanegev) con 647 passeggeri. Fu catturato dopo una dura resistenza che provocò morti e feriti.


Il GALATA come SHEAR YISHUV

Il 4 marzo 1947 da Metaponto si dirigeva verso la Terra Promessa il Susanna (poi Shabtai Lozinsky) con 823 passeggeri e il 7 aprile 1947 partiva dall’Italia il Galata (Shear Yashuv) con altri 768. Il primo arrivò inosservato sulla costa presso Gaza, il secondo fu catturato dagli inglesi mentre era molto sbandato. Il 15 maggio 1947 partiva da Bari il motoveliero Orietta (poi Mordei Hagetaoth) con ben 1.457 persone, ma fu catturato dagli inglesi. Il luglio 1947 vide l’avventura del President Warfield, più noto come Exodus 1947 con 4.554 passeggeri, ma nello stesso mese partivano le navi italiane Bruna (Haleli Gesher Aziv) con 685 persone e il Luciano (Shivat Zion) con 411 persone, entrambi catturati senza resistenza.


L’EXODUS 1947

Per quanto riguarda l’Exodus 1947 c’è da ricordare un avvenimento drammatico: tutti gli emigranti catturati furono deportati su tre navi dagli inglesi ad Amburgo, creando uno scandalo internazionale. Era inconcepibile che chi era sfuggito alla Shoah venisse portato nel paese che ne era stato responsabile. Gli ebrei furono poi portati in campi situati nella zona statunitense dove ebbero un documento di priorità per l’emigrazione.

In novembre 1947 partivano lo Albertina ora Alyah (forse era già il Pietro) con 182 persone e il Raffaelluccio poi Kadima con altre 794. Il primo fu trovato dagli inglesi abbandonato sulla spiaggia di Naharyia, il secondo fu catturato.

Nel dicembre 1947 partiva da Civitavecchia il Maria Cristina, ora Lo Tafchidinu, e dalla Corsica il Giovanni Maria ora 29 November con 680, entrambe catturate senza resistenza.

L’inizio dell’anno vide un altro grande avvenimento: due grandi navi, Pan YorkPan Crescent, stavano arrivando da Burgas in Bulgaria con più di 15.000 emigranti, ma il Mossad accettò di dirottarle direttamente a Cipro dove i passeggeri furono internati.

Nel 1948 arrivarono quasi soltanto navi italiane partite da porti italiani: Archimede poi Ha’umot Ham’uchadim arriva il 1° gennaio 1948 con 537 emigranti.

Silvia Starita poi Giborei Etzion arriva il 31 gennaio 1948 con 280 emigranti.

Ciccillo poi Yerusheliam Hanetzura arriva il 12 febbraio 1948 con 670 emigranti.

Sette Fratelli poi Lekomemyut arriva il 20 febbraio 1948 con 699 emigranti.

Esmeralda poi Yechiam arriva il 28 marzo 1948 con 769 emigranti.

Vivara poi Tirat Zvi arriva il 12 aprile 1948 con 798 emigranti.

Michela poi Mishmar Haemek arriva il 24 aprile 1948 con 782 emigranti.

Borba poi Lanitzachon arriva il 16 maggio 1948 con 189 emigranti.

Cristina Tuglia poi Medinat Yisroel arriva il 17 maggio 1948 con 243 emigranti.

L’ultima unità italiana è il Fabio (Krav Emek Ayalon) arrivato il 29 maggio 1948 con 706 emigranti.

Quasi tutte queste unità furono catturate meno le ultime tre che arrivarono dopo la nascita dello Stato d’Israele, avvenuta il 14 maggio 1948.

In conclusione su 69 partenze 37 avvennero dall’Italia, 18 dalla Francia, 3 dalla Grecia, 3 dalla Jugoslavia, 4 dalla Bulgaria, altre sconosciute. Ada Sereni ne conta 40, forse perché considera partite dall’Italia anche Exodus 1947 e le due Pan CrescentPan York che furono modificate in Italia.

Su 69 viaggi, poi, 33 avvennero su navi di origine italiana.

Per quanto riguarda il numero dei trasportati, furono 72.845 gli ebrei che viaggiarono nel programma aliyah Bet, 33.302 quelli partiti dall’Italia e 23.246 quelli partiti su navi italiane.

Una storia particolare è quella del Ben Hecht (ex PY 31 Uss Cythera) che nel 1957 fu comprato dai Fratelli Capano per la Navigazione Libera del Golfo e viaggiò per 40 anni fino al 1998 nel golfo di Napoli con il nome di Santa Maria del Mare.

Un’altra storia particolare è quella del piroscafo greco Haghia Zoni che fu utilizzato nell’aprile 1939 dal questore di Fiume Giovanni Palatucci per far fuggire 800 ebrei: si trattava dell’ex Taranto, costruito nel 1899 dal Cantiere Orlando di Livorno.

Per tornare alla predominanza dell’Italia, questa è dovuta, secondo me, a un fattore oggettivo e uno soggettivo: il primo è dovuto al fatto che l’Italia era “il ponte di lancio” migliore per il Medio Oriente: la Grecia era afflitta da una dura guerra civile, la Jugoslavia era una dittatura con molti problemi interni ed era difficile muovere nel suo territorio grandi masse di profughi.

Bisogna tenere presente che il problema logistico era notevole, considerando che siamo nel primo dopoguerra: bisognava muovere senza dare nell’occhio gruppi di 600/800 persone, provvedere agli alloggi, ai viaggi, ai rifornimenti e all’assistenza igienico-sanitaria. L’unica alternativa valida era la Francia, ma il viaggio dalla Provenza era molto più lungo. Il fattore soggettivo era la maggiore facilità di muoversi in Italia dove, pur con le difficoltà del dopoguerra, si poteva contare su assistenze continue e su appoggi più o meno taciti delle popolazioni locali; c’è da considerare anche l’attivismo delle comunità ebraiche italiane che agevolarono i viaggi.

Anche per quanto riguarda l’acquisto di navi, anche questo doveva esser facile, così come trovare i cantieri dove effettuare le necessarie modifiche alle strutture per ospitare i passeggeri: si trattava quasi sempre di piccole navi da carico o motopescherecci, tutti non attrezzati per trasportare persone.

Per quanto riguarda i cantieri di provenienza delle unità, si nota una prevalenza dei canteri liguri o toscani: per i primi si ricordano l’Albertina che era del cantiere Sangermani di Riva Trigoso, il Rondine di Galleani e Osterle di Arenzano, il Fede di Serra Cervo di San Bartolomeo, il Merica di Briasco di Sestri Ponente, lAvvenire e il Ciccillo di Gotuzzo di Chiavari, il Luciano di Calamaro di Savona. Per i cantieri toscani si notano il Silvia Starita della Cooperativa mastri d’ascia e calafati di Viareggio, il Bruna e il Susanna di Benetti di Viareggio, il Sette Fratelli di Gamba di Viareggio, il Giuseppe Bertolli di Picchiotti di Viareggio. Ricordiamo ancora il Raffaelluccia del Cantiere Navale Peloritano di Messina, il Maria Cristina di Tortorella di Salerno, il San Michele di Starita di Piana di Sorrento, il Vivara di Mazzella di Torre del Greco, l’Orietta dei CNR di Ancona e infine l’Esmeralda di Schiavon di San Pietro in Volta. E’ ovvio che il Mossad non li comprava dai cantieri ma dagli armatori, in ogni modo le unità italiane davano una garanzia di qualità pur essendo economiche. Nessuna naufragò, grazie anche all’abilità degli equipaggi, italiani volenterosi ed ebrei che avevano frequentato scuole nautiche come quella di Civitavecchia o erano dei reduci di guerra delle marine alleate.

Per quanto riguarda gli armatori che hanno venduto le navi, per alcune di esse non sono riuscito a risalire ai proprietari perché si trattava di unità costruite durante la guerra e nel primo dopoguerra, una ricerca ancora da completare. Per altre ho trovato armatori di tutta l’Italia: Liburnum di Livorno (Fenice), Mario Bianchi di Genova (Giovanni Maria), Mario Starita di Napoli (RaffaelluccioSilvia Starita), Tito Neri di Livorno (Luciano), Ernesto Leva di Riva Trigoso (Merica), Onofrio Giacomino di Torre del Greco (Orietta), Tomei di Viareggio (Giuseppe Bertolli), Adragna di Trapani (Ariella) e altri ancora.


Il LINO affondato a Bari

Una breve osservazione riguarda il contributo italiano alla nascita della Marina israeliana. Subito dopo la proclamazione della nascita dello Stato d’Israele le nazioni arabe che lo circondavano gli mossero guerra e i soldati di questa nuova nazione si trovarono nella necessità di costruirsi anche una marina, con mezzi molto spesso improvvisati. Fra le armi di risulta che riuscirono a procurarsi cannoni italiani di vecchio tipo da 76 mm, 102 mm e 120 mm. Soprattutto però riuscirono ad ottenere dei barchini esplosivi del tipo MTM con i quali ottennero i primi successi navali. Ora sia i cannoni sia i barchini, anche se fuori servizio, erano gestiti dalla Marina Militare italiana per cui è molto probabile che sia stata una fornitura riservata alla nuova nazione.


La corvetta MISGAV con cannoni di origine italiana

Dall’Italia partivano però anche forniture di armi per i paesi arabi e Bari era un po’ il centro principale di questo traffico che venne contrastato dal Mossad. Dapprima affondarono nel porto pugliese il trasporto Lino che aveva a bordo 8.000 fucili e 10 milioni di colpi, provenienti dalla Cecoslovacchia e diretti all’Egitto. Le armi furono recuperate e imbarcate sul trasporto Argiro che però fu catturato dagli israeliani con tutto il carico il 24 aprile 1948.

Un’ultima considerazione: questa che ho narrata è una storia di navi, ma non basta: manca la storia degli uomini, sapere come viaggiavano, chi li ha aiutati, sotto quale bandiera navigavano, questa è una storia ancora tutta da scrivere: io non la conosco, se qualcuno la conosce la narri, è un contributo per la storia.

In conclusione questo lavoro, sulla quale ha lavorato molto lo storico navale statunitense Paul Silverstone e dalla quale sono partito per evidenziare il contributo italiano, racconta di una delle numerose migrazioni che sono avvenute nel corso dei secoli nel Mediterraneo e che hanno contribuito, pur fra guerre, massacri e odi di tutti i tipi, a creare una cultura comune di questo mare, grazie anche all’Italia, ponte fra tutte le terre.

 

Rapallo, 1 Novembre 2020

A cura di Mare Nostrum Rapallo