CANI MARINAI

Cani d’amare

L’ambigua pronuncia del titolo si riferisce ad un argomento che solo pochi di noi hanno mai preso in considerazione: la frequentazione dei nostri amici a quattrozampe  sulle navi. Credo invece che parlarne possa svelare degli aspetti, a dir poco, sorprendenti.

 

Sicuramente in molti abbiamo notato almeno una volta una simpatica bestiola che abbaia scodinzolando sulla coperta di un rimorchiatore oppure quando sfreccia con brio da prua a poppa su una chiatta nei canali del Nord Europa. Ma chi ricerca attentamente su questo soggetto, trova la conferma che cani e uomini hanno condiviso da tanto tempo il loro destino in mare e non solo nei momenti di reciproca compagnia.

Quando ero giovane ufficiale, negli anni ’70, una delle ricorrenti affermazioni  che sentivo a bordo era un  antipatico commento ripetuto durante le interminabili ore di navigazione notturna nell’oceano. Forse per rompere il silenzio ovattato del ponte di comando, il saggio di turno declamava in maniera pseudo-filosofica: “la  guardia, la fanno solo i marinai e i cani!”.
Da allora è passato del tempo e dopo aver terminato la mia carriera e le guardie sulle navi, ho deciso di avere come amico un cane del quale sono perdutamente innamorato. Durante i momenti di reciproca e naturale incomprensione mi chiedo a volte quale sia l’eventuale attaccamento del mio amico verso una nave, se mai  vi si trovasse sopra. Dalle prime ricerche fatte, ne ho ottenuto un risultato inaspettato, che rende inappropriata la seppur amorevole definizione di “mascotte di bordo”: cioè il nostro amico ne merita davvero una ben più consistente. Vediamo alcuni aspetti di questo discorso.

E’ risaputo che i cani occupano i primi posti per dedizione ed attaccamento alla famiglia, sia quella gioiosa di un’abitazione che quella più atipica dell’equipaggio di una nave. Lo si denota dalle immagini che ci giungono nel tempo: prima i quadri bucolici del ‘600, poi gli innumerevoli dipinti delle scene di caccia, quindi le dagherrotipie e fotografie di fine ‘800 che ritraggono equipaggi di velieri con il loro fedele amico. In queste ultime, spesso l’animale è immortalato vicino al Numero Uno, il Comandante, quasi come se tra i due vi fosse un legame invalicabile alle persone che collega la solitudine del comando da una parte con l’eterna ed incommensurabile fedeltà dall’altra.

 

 

L’equipaggio del veliero “Bedford” (1904): il cane è vicino al Capitano! (tratto da http://content.lib.washington.edu)

 

 

Tempo fa, mi aggiornai su uno dei transatlantici più gloriosi della  nostra Marina Mercantile, il Rex. La veloce unità, come è noto, nel 1933 guadagnò con onore il Nastro Azzurro per aver compiuto la traversata atlantica ad una velocità di 29 nodi circa (54 Km/h)! Il suo Comandante, Francesco Tarabotto, splendida figura di Capitano Marittimo di Lerici, diplomato nautico a Genova, teneva a bordo una femmina di terrier, Lilly.
La testata americana Niagara Falls Gazette scrive, tra l’altro, nell’ottobre 1934: “ Il Comandante Tarabotto è scapolo e se gli chiedete perché, lui sorride riservatamente e asserisce che i suoi unici amori sono il Rex e la sua cagnetta Lilly, un terrier arrogante che scorrazza tra il ponte di comando e gli alloggi ufficiali”.

 

 

 

Uno splendido quadro di Marco Locci: Il Rex, il Conte di Savoia e il Conte Grande

 

Coloro che conoscono anche a tratti la storia del Rex, sorrideranno all’accostamento di Tarabotto, ufficiale imponente, che incuteva immediato rispetto, con la vivace bestiola, ma evidentemente anche lui se ne era “innamorato”.

 

Quello scritto mi stimolò a continuare a ricercare notizie dei cani sulle navi, a capire cioè se  la loro presenza fosse unicamente quella di tenere compagnia alla gente o se ci fosse qualcosa di più. I due esempi che seguono ci dicono infatti che il comportamento di quegli animali verso le navi è, a dir poco unico e forse, ancora inspiegabile.

Mi ricordai infatti dell’articolo sul nostro sito di Carlo Gatti, past President della Società,  che narrava le tragiche vicende della piccola nave da carico Fiducia, poi affondata,  il cui equipaggio fu salvato dalla nave passeggeri italiana Vulcania nel dicembre del 1962 a nord della Sicilia. Gatti si trovava lui stesso a bordo della nave passeggeri come Terzo Ufficiale di Coperta.
Si legge tra l’altro:  “…ci fu, purtroppo, una vittima di cui non abbiamo ancora fatto cenno. Su quella coperta inclinata e flagellata dai marosi, scivolava da paratia a paratia, abbaiava e piangeva un pastore tedesco, che nessuno poteva più aiutare. L’equipaggio stremato ed ancora impaurito, ma ormai al sicuro sul ponte passeggiata del grande transatlantico, volle seguire con lo sguardo il drammatico epilogo della sua nave. I naufraghi si schierarono l’uno accanto all’altro, s’appoggiarono tristemente al parabordo del ponte e fissarono a lungo, con gli occhi sbarrati, l’ultimo comandante di bordo che, abbandonato per sempre dagli uomini, s’allontanava incredulo nel buio più profondo.

 

 

L’affondamento della nave da carico FIDUCIA (arch. C. Gatti)

 

Lo salutarono sbracciando i loro baschi fradici tra le lacrime e gettando nell’angoscia, non solo i passeggeri, ma anche il collaudato equipaggio dell’anziana Vulcania. A bordo, tutto si fermò per un attimo, il nostro Comandante, stagliato come una sfinge sull’aletta della plancia, salutò con tre fischi lunghi e mesti la coraggiosa Fiducia che si apprestava a compiere la sua ultima traversata verso gli abissi, con il suo indomito e fedele nocchiero. La nave poco dopo sparì, trascinando con sé il suo ultimo compagno di viaggio, il più fedele. Se ben ricordo, il suo nome era Dock. (l’articolo completo è a http://www.scmncamogli.org/oldsite/pagine/nfiducia_nar.htm).

Dopo qualche tempo, un altro evento, toccante come il precedente, richiamò la mia attenzione. Nel dicembre 2010, la nave italiana Jolly Amaranto fu investita da una terribile tempesta nel Mediterraneo. L’unità fu abbandonata in quell’inferno e l’equipaggio venne salvato da un rimorchiatore. A bordo c’era un cane, Athos, che fu anch’esso portato in salvo. Dopodichè in un attimo successe l’imprevisto: il cane si lanciò in acqua per raggiungere la nave morente in mezzo alla tempesta!

Vano fu il tentativo di un marinaio che si tuffò dietro di lui per soccorrerlo, anzi dovette lui stesso essere portato in salvo dai sopravvissuti. La povera bestia sparì nelle onde implacabili e buie di quel mare in tempesta. (vedi toccante testimonianza a You Tube a http://www.youtube.com/watch?v=uQPsdywrVTs).

Dock e Athos si sono comportati in maniera simile, erano vincolati alla propria nave in maniera sublime, sino a sacrificare la vita, nonostante i propri padroni, sicuramente gli esseri a loro più vicini e più cari, fossero già tratti in salvo.

 

 

San Rocco di Camogli: Il monumento al cane, amico fedele dell’uomo (foto B. Malatesta)

 

A San Rocco di Camogli, il 16 agosto di ogni anno, si celebra la Festa del Cane, dove vengono premiati quegli animali che si sono distinti per le loro azioni di eroismo verso gli umani. Sarebbe bello che un segmento della manifestazione fosse dedicato ai quattrozampe delle navi, i quali ci ricordano istintivamente che l’unità sulla quale lavoriamo è davvero qualcosa di vitale importanza e che dobbiamo fare di tutto per salvaguardarla.=

 

Bruno Malatesta – 8/2012

 

Appendice: I cani nella storia marinara

I cani, si sa, hanno molta storia e tradizioni in comune con le persone. Sin dall’inizio della navigazione, questi animali sono sempre stati a bordo e siccome molti secoli fa le imbarcazioni naufragavano frequentemente, succedeva che i quattro zampe sopravvissuti abbandonavano l’unità arenata negli scogli, avventurandosi così in un nuovo paese, a volte originando quelle razze che oggi sono considerate pure. Nel 15mo e 16mo secolo per esempio, gli esploratori europei giunsero sulle coste del Nord America portando con loro mastini, cani pastore e waterdogs. Il famoso ed utile Terranova che, insieme al Labrador, è forse il cane acquatico più conosciuto, è il risultato dell’insieme di quelle razze.

 

 

Un Terranova

 

Ma non è solo l’aspetto della genesi di stirpi canine che richiama il nostro interesse. Ben presto, quando s’intese che i cani potevano essere addestrati con risultati sorprendenti, vennero utilizzati per espletare alcune operazioni di bordo, soprattutto il lavoro duro.
Nei vascelli da guerra erano impiegati per scambiare messaggi strategici tra i comandanti, cioè come dei veri e propri messaggeri acquatici; sulle navi da pesca invece raccoglievano il pesce o lo spingevano nelle reti o addirittura sistemavano tali reti ed altra attrezzatura che si trovava sia a bordo che in mare.  Nei casi di razze pregiate, costituivano preziosa merce di regalo verso potenti dignitari che avrebbero assicurato così buoni affari al comandante della nave. Potevano anche servire per cacciare i ratti di bordo; per esempio, i piccoli Chihuahua scovavano soprattutto i vermi che si infilavano dove altri cani di taglia maggiore non arrivavano.  Infine, compito molto importante, riportavano a bordo tutto quello che cadeva in mare, persone comprese. =

 

 

Ancora una testimonianza!

 

 

UNA MANOVRA DA CANE……..

 

Entrai in timoneria mentre il traghetto della Tirrenia, proveniente da Porto Torres, stava imboccando l’entrata del porto.

“Ciao Comandante, ben arrivato!”

“Ben trovato a te! Stamattina abbiamo un pilota in più!” – Pensai d’incontrare quel collega che ogni tanto ritornava a Genova dai suoi genitori. Mi guardai intorno, ma vidi solo il timoniere ed un cagnone nero accucciato in un angolo. Il comandante rideva di sottecchi…mi spiegò:

– “Quella specie di orso bruno là nell’angolo si chiama Pilot e fa parte dell’equipaggio. Si é imbarcato con me un mese fa e sbarcherà con me tra dieci giorni! Non ci crederai, ma a bordo ha le sue mansioni  e guai ad interferire… E’ un cane molto orgoglioso!”

Lo guardai incuriosito e dissi: “Lo hai assunto come ‘gigolot’ per le cagnette di certe anziane passeggere ? O l’hai chiamato così in onore della mia categoria…?”

“Ad essere sincero né l’uno né l’altro. Il mio cane, di razza sconosciuta, sente la manovra come uno di noi e, allora, capisci, non potevo chiamarlo in un altro modo… Non vorrei che la battuta ti suonasse un po’ strana. Non c’è alcun doppio senso, credimi.”

Il Comandante sembrava davvero preoccuparsi della mia reazione e replicai: “Amo i cani e se anche fosse così, troverei la tua descrizione originale e assolutamente divertente”.

 

Poi mi rivolsi  direttamente all’interessato come fosse un collega: “Se sei dei nostri e ami la manovra, come dice il tuo datore di lavoro, uno di questi giorni ti porto sulla Torre/Piloti per farti conoscere i miei colleghi. Magari alcuni li conosci già”.

Pilot mi fissò con un occhio solo e poi  girò il testone per indicarmi la prua. Capii che non voleva assumersi alcuna responsabilità circa la mia distrazione !

C’era un po’ di tramontana, chiudemmo la porta di sopravvento e cominciammo a far ruotare la nave a dritta di 180° per portare la poppa in direzione della scassa n. 4 di Ponte Colombo. Durante la rotazione era immobile e concentrato, ma appena la nave terminò l’accostata, Pilot si alzò e con tutta calma ci precedette verso l’aletta di dritta, si sistemò vicino ai comandi esterni, poi si girò impaziente verso di noi  facendoci intendere: ‘avvicinatevi é il momento di portare la nave in banchina’.

Il suo padrone non gli aveva fatto alcun cenno. Rimasi basito. Pilot aveva segnalato non solo l’inizio della seconda fase della manovra, ma si era anche trasferito verso il lato d’attracco previsto quel giorno, che poteva essere un altro tra i quattro in funzione nel terminal. Una cosa é certa: Pilot non si sbagliò. Non dissi nulla. La nave andò regolarmente all’ormeggio e i cavi vennero filati a terra e poco dopo il Comandante urlò all’interfonico: “Abbassate la rampa!”. A quel punto Pilot lasciò la postazione scrollandosi di dosso le ansie accumulate e pensando: “La manovra é finita. Missione compiuta”. Lasciò il Ponte di Comando  e se n’andò in cabina ad aspettare il suo padrone per ricevere le meritate coccole.

A quel punto mi rivolsi al mio amico Comandante e chiesi con morbosa curiosità:

– “Comandante, la manovra non é mai la stessa e noi lo sappiamo perché ogni giorno la cambiamo in base al vento e alle esigenze del Terminal. Ora ti chiedo:  Pilot si é mai spostato verso il lato sbagliato della manovra?”

– “No! Non é mai successo! Io credo che lui percepisca il mio pensiero e analizzi inconsciamente i miei gesti. Le sue reazioni si basano, credo, sulla nostra empatia.

– “Ma si comporta allo stesso modo anche nella manovra di partenza?”

-“Si ! Anche alla partenza. Pilot anticipa sempre di qualche minuto la mia salita sul Ponte di Comando e appena sente l’ordine: “Rimanere su un cavo e lo spring”, si sposta sull’aletta di manovra, quella giusta! Appena molliamo i cavi da terra, lui rientra prima di me in timoneria, si sistema davanti al vetro centrale per indicarmi la rotta d’uscita dal porto”.

Quando siamo in mare aperto, a volte succede che mi trattenga sul ponte a scambiare quattro chiacchiere con gli ufficiali ma, anche in questo caso, non riesco mai a fregarlo. Sembra che Pilot capisca dalle mie parole e dal tono della voce quando sta per giungere l’attimo del mio congedo. Fino a quel momento rimane impassibile nell’attesa della mia decisione che lui percepisce sempre nell’attimo giusto e ancora una volta mi precede dandomi il tempo di salutare i presenti.

Carlo, cerca di venire anche alla partenza. Credo che Pilot voglia farti vedere ancora qualcosa…

T’aspetto!”

 

Una nota sul TITANIC

 

 

 

A bordo del transatlantico affondato al largo di Terranova il 14 aprile 1912 c’erano, a quanto riporta lo storico del Titanic Claudio Bossi, ben 35 cani che accompagnavano passeggeri di prima classe, e per i quali fu approntato anche un canile. Non risulta invece che ci fossero gatti.

 


La presenza di cani di razza a bordo era tale che, per il 15 aprile, era stata anche prevista un’esposizione canina per intrattenere gli ospiti che, ovviamente, non ebbe mai luogo. Due cani sopravvissero al naufragio.

Qualche tempo dopo l’arrivo dei naufraghi a New York, il quotidiano N. Y. Herald pubblicò la storia di Rigel, un terranova che sarebbe appartenuto al primo ufficiale William Mc Master Murdoch, il quale avrebbe nuotato per ore abbaiando fra le scialuppe alla ricerca del padrone scomparso, attirando così l’attenzione dell’equipaggio della Carpathia, la nave che giunse per prima e raccolse i superstiti.

 

 

 

Carlo GATTI – Bruno MALATESTA

Rapallo, 26.08.12