PITTORI DI MARINA - “Al largo di Valparaiso” (“Off Valparaiso”)

PITTORI DI MARINA

Eco del golfo Tigullio

LA QUADRERIA DE “IL MARE”

 

“Al largo di Valparaiso” (“Off Valparaiso”)

La nave raffigurata dal pittore Thomas J. Somerscales è un tipico tre alberi con scafo in ferro, largamente impiegato dalle principali marinerie sul finire dell’Ottocento, le cui forme di scafo e la cui velatura sono mutuate da quelle dei famosi “clipper” del the e della lana in attività alcuni decenni prima.

La pittura di marina di scuola britannica è sicuramente la più vasta e di qualità in questo specifico genere, e sono numerosissimi gli artisti inglesi che, dal Settecento ai giorni nostri, hanno raggiunto nel settore vette artistiche e documentali di più che considerevole valenza.

In particolare, tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi decenni del secolo scorso, oltremanica si è assistito ad un’autentica fioritura artistica in questo ambito, con pittori quali William M. Willie, Charles Pears e Norman Wilkinson le cui opere rientrano di diritto tra la migliore produzione del periodo e raggiungono notevoli quotazioni nelle aste britanniche e statunitensi, oltre ad essere esposte nelle più quotate gallerie londinesi e del Regno Unito.

In questo panorama, la figura di Thomas J. Somerscales è abbastanza atipica e “indipendente”: figlio di un capitano di lungo corso, nacque a Kingston upon Hull nel 1847 e ben presto iniziò una carriera di insegnante tecnico con la Royal Navy. In quel periodo diede avvio, su basi del tutto autodidatti che, ad un’attività collaterale di pittore amatoriale: caratteristica di famiglia, dato che il padre e uno zio erano essi stessi grafici dilettanti, disegnatore il primo e pittore il secondo.

Nel 1864 Somerscales visitò Valparaiso, in Cile per la prima volta, e si stabilì in quella stessa città nel 1869, dopo aver contratto la malaria nel corso di un viaggio ai tropici nell’Oceano Pacifico. In Cile, Somerscales proseguì la sua attività artistica su basi professionali, partecipando a numerose mostre e esposizioni di pittura di marina e guadagnandosi una fama che, ben presto, lo rese noto anche in patria.

Rientrò nel 1915 in Gran Bretagna, stabilendosi nella città natale di Kingston upon Hull ove, sino alla sua morte (1927), proseguì l’attività di pittore di marina; il suo quadro più famoso è sicuramente “Off Valparaiso” (“Al largo di Valparaiso”), realizzato in Cile nel 1899, che qui presentiamo.

L’opera (olio su tela), è oggi esposta alla Tate Gallery di Londra, che la acquistò dopo che questa era stata esposta alla Royal Academy nei primi anni Venti, e presenta tutti gli aspetti che meglio evidenziano l’arte di Thomas J. Somerscales, ossia un’eccezionale fusione tra elementi naturali (il mare e il cielo), nautici (la corretta raffigurazione di scafi, alberature e manovre) e una “dinamicità” che coinvolge l’appassionato, l’osservatore e chi per mare ha navigato e conosce la realtà di questi elementi.

Una “nave attrezzata a nave” (cioè un veliero a tre alberi con vele quadre) naviga al gran lasco al largo di Valparaiso, e si prepara ad imbarcare il pilota, la cui imbarcazione (siamo in Sud America alla fine dell’Ottocento...) è una semplice lancia a remi che sfida le onde dell’Oceano Pacifico.

Va evidenziata la corretta disposizione della velatura, in riferimento alla situazione in cui il tre alberi è raffigurato. Come detto, il bastimento naviga al gran lasco ma deve mantenere rotta e stabilità, riducendo nel contempo la velocità. I due fiocchi portati “a farfalla” favoriscono quindi il mantenimento della rotta con un’andatura portante, ma le scotte delle vele superiori dei tre alberi sono state allascate per ridurre la velocità e lo sbandamento: velaccino e controvelaccino (al trinchetto), velaccio e controvelaccio (alla maestra), belvedere e controbelvedere (alla mezzana) sono quindi già sventati e il veliero, maestosamente, riduce l’abbrivo e si prepara a ricevere il pilota a bordo.

La nave raffigurata è un tipico tre alberi con scafo in ferro, largamente impiegato dalle principali marinerie sul finire dell’Ottocento, le cui forme di scafo e la cui velatura sono mutuate da quelle dei famosi “clipper” del the e della lana in attività alcuni decenni prima.

Maurizio BRESCIA

Direttore del mensile

Rivista fondata nel 1993 da Erminio Bagnasco

Rapallo, 4 Dicembre 2018


RICORDO DEL PILOTA GIANCARLO ODDERA

 

RICORDO DEL PILOTA

GIANCARLO ODDERA

Ricorre quest’anno il ventennale della morte di Giancarlo ODDERA. E’ stato Pilota del porto di Genova ed anche Sindaco di Castel Vittorio (Imperia).

Mi scuso innanzitutto con gli amici lettori ed in particolar modo con i famigliari di Giancarlo per l’imprecisione di qualche data.

La vecchia Torre-Piloti ricostruita nel 1947 e la nuova Torre di Controllo del traffico del Porto di Genova. Un passaggio di consegne finito in tragedia.

Come ben sapete, il crollo della Torre piloti, avvenuta il 7 maggio 2013 alle 23.05, ha trascinato con sé sul fondale di Molo Giano 9 vittime, strappate in un attimo all’affetto dei loro cari e di tutti noi. Con loro é scomparso un mondo reale, ma anche l’archivio storico: la memoria di ogni Pilota del porto, come se un lungo pezzo della vita del porto fosse scomparso insieme a loro, insieme alle tante vicende che li videro protagonisti sia sulla Torre quella notte come “sentinelle” appostate sull’imboccatura, sia come protagonisti di migliaia e migliaia di eventi e manovre destinate ad accogliere le navi e portarle in banchina con qualsiasi tempo.

L’archivio perduto, risaliva al primo dopoguerra. In precedenza, dal 1940 al 1945, per due volte la Torre piloti cadde sotto i bombardamenti della Seconda guerra mondiale e fu ricostruita sempre nello stesso posto, a tempo di record in situazioni economiche e logistiche disastrose.

Il senso marinaresco della classe politica di allora poggiava su un altissimo piedistallo che si specchiava con la LANTERNA e sapeva guardare lontano!

L’archivio del Corpo Piloti della prima Torre bombardata, conteneva la documentazione storica dei vecchi piloti che risaliva alla lontana epoca medievale.

I piloti esistono, come istituzione, dai tempi del re Salomone.

La vita del pilota portuale non é semplice, e proprio Giancarlo Oddera né fu testimone con l’incidente che lo vide gravemente infortunato durante una manovra portuale, il cui esito influì non poco sulla sua successiva carriera. Abbiamo recuperato nel Museo Marinaro di Chiavari del Com.te Ernani Andreatta, suo amico e compagno di Accademia Militare a Livorno, l’articolo del giornale che descrive dettagliatamente la dinamica dell’incidente.

Si consiglia di ingrandire il testo con l'apposito tasto.

Giancarlo Oddera rientrò in servizio dopo aver superato la visita medica, erano passati quattro o cinque mesi durante i quali fu sottoposto a difficili interventi agli avambracci con l’innesto di barre di titanio e relativi chiodi.

Arrampicarsi sulle biscagline in quelle condizioni sembrava un azzardo, anche per i suoi collaudati colleghi in servizio, ma Giancarlo era un “marinaio” intrepido, un atleta forte, scattante e deciso nel carattere, nel pensiero e nell’azione.

In occasione del suo ritorno in Torretta, diede a tutti una lezione di attaccamento al Corpo Piloti che nessuno poté mai dimenticare. Il suo rientro in servizio fu un grande stimolo, specialmente per le giovani leve che videro in lui un mitico esempio di dedizione e coraggio.

Da sinistra: Giancarlo Oddera, Carlo Gatti, Fausto Bonomi

L’organico dei piloti portuali é diviso in squadre di tre o quattro membri ed é regolato dall’andamento sinusoidale del traffico navale del porto, dai pensionamenti, dalle malattie, dagli incidenti e da altri fattori tecnico-politici. La squadra di Giancarlo Oddera (nella foto sopra) é rimasta invariata per oltre 20 anni.

Giancarlo, dal tipico aspetto di un “marine” della USS Navy, coltivava nel suo intimo i grandi valori di un tempo: figlio di un maresciallo dei carabinieri aveva l’imprinting della divisa, dell’onore, del lavoro, dell’amicizia, ma soprattutto della famiglia.

Chi scrive, senza saperlo, fece gli stessi passi “marinari” di Giancarlo prima di vincere il concorso da pilota a Genova.

In tempi diversi imbarcarono sulle petroliere “FINA ITALIA” e “MARIO MARTINI”, in seguito diventarono Comandanti con la RIMORCHIATORI RIUNTI-Genova.

Ma ciò che caratterizzava Giancarlo Oddera agli occhi della comunità portuale, sia quella operativa tra le calate, sia quella che sta alle sue spalle ed é interscambiabile con la prima, era la SEMPLICITA’, L’UMILTA’, LA DISPONIBILITA’, ma soprattutto il senso d’AMICIZIA che per lui era la visione di sé con gli occhi dell’altro!

Portuali, barcaccianti (RR), ormeggiatori, agenti, armatori ecc… erano i personaggi che animavano il suo mondo marinaro, un mondo fatto di tante lingue, dialetti, modi dire, esperienze di terra e di mare. Giancarlo era un personaggio delle mitiche canzoni di FABER.

Detto questo, non é difficile immaginare che tra noi ci sia stato un feeling particolare!

Non é neppure difficile accettare l’ironia del destino che proprio a me fosse toccata l’ultima guardia con lui; quella notte “senza ritorno” che lui volle sfidare ancora una volta quando il suo fisico, in qualche modo, si era ormai inesorabilmente modificato e indebolito dopo l’incidente. Quella notte rimane tra i ricordi più sofferti della mia vita lavorativa.

Castel Vittorio (Imperia)

Da pensionato visse felicemente fino al 1998 con l’amata famiglia: sua moglie Anna, la figlia Cristina (medico) ed il figlio Gian Stefano, attuale sindaco di Castel Vittorio come lo fu suo padre.

Ciao Giancarlo! Quando leggerai queste righe starai “navigando” nei dintorni di Piazza Banchi e ti verranno in mente quelle pause tra un vapore e l’altro, quando parlavamo di navi, di caccia e di storia…

Un caro abbraccio ovunque tu sia!

Da sinistra: Giancarlo Oddera, GianCarlo Cerutti, Carlo Gatti in Sala Operativa

Ringrazio gli Amici Comandanti Ernani Andreatta ed il collega GianCarlo Cerutti (che voi tutti conoscete attraverso i miei scritti), per avermi suggerito la stesura di questo “ricordo” dedicato al compianto collega Giancarlo Oddera. Un OMAGGIO che estendo a tutti i Piloti del passato e del presente affinché non vada persa del tutto la “memoria” di tante Persone che hanno contribuito con la loro dedizione a far “grande” Genova ed il suo PORTO!

Seguono alcuni LINK di articoli presenti sul sito di Mare Nostrum Rapallo il cui unico scopo é quello di tenere una fiaccola accesa su un piccolo mondo, poco conosciuto e quasi dimenticato dal suo stesso impietoso destino!

CHI E’ IL PILOTA PORTUALE

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=202;pilota&catid=53;marittimo&Itemid=160

 

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LA CADUTA DELLA TORRE DI CONTROLLO DEL PORTO DI GENOVA

Una Tragedia annunciata?

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=282;tc&catid=34;navi&Itemid=160

 

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TRENT'ANNI DI TECNOLOGIA PORTUALE

Tra le pieghe dei ricordi personali.

Dai fischi del pilota…alla Torre di Controllo del porto.

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=171;trentanni-di-tecnologia-portuale&catid=53;marittimo&Itemid=160

 

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PROGETTO TORRE PILOTI

PRESENTAZIONE

Palazzo San Giorgio - Genova

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=419;torre-piloti&catid=53;marittimo&Itemid=160

 

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TORRE PILOTI NEI PORTI DEL MONDO

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=499;piloti&catid=53;marittimo&Itemid=160

 

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PERCHE’ È INDISPENSABILE UNA TORRE PILOTI

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=461;pil&catid=53;marittimo&Itemid=160

 

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UNA GIORNATA DA PILOTA

Il racconto della prima manovra della giornata

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=575;una-giornata-da-pilota&catid=53;marittimo&Itemid=160

 

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GENOVA (Porto Petroli Multedo) 12.7.1981

INCENDIO ESPLOSIONE della super-petroliera giapponese

“HAKUYOH MARU”

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=549;maru&catid=34;navi&Itemid=160

 

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Ricordando la HAVEN

vent’anni dopo...

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=150;haven&catid=41;sub&Itemid=162

 

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Da Mathausen a Rapallo

L'INCREDIBILE STORIA  DI BENEDETTO BOZZO

PILOTA DEL PORTO DI GENOVA

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=126;da-mathausen-a-rapallo&catid=52;artex&Itemid=153

Carlo GATTI

Rapallo, 24 Settembre 2018


PITTORI DI MARINA-La grande battaglia navale di Chesapeake

PITTORI DI MARINA

Eco del golfo Tigullio

LA QUADRERIA DE “IL MARE”

La grande battaglia navale di Chesapeake

La tela raffigura la “Battaglia dei due capi” che avvenne in Virginia nel 1781, è opera dello statunitense Valter Zveg


I quadri riferiti alle grandi battaglie navali della marineria velica non risalgono soltanto ad un passato più o meno lontano, ma anche ai nostri giorni taluni artisti contemporanei risaltano nel pur non vastissimo panorama della “pittura di marina” con opere ben realizzate, precise, dalla considerevole valenza artistica e dall’effetto scenico non comune.

Il più noto tra questi “sea painters” contemporanei è - probabilmente - il britannico Geoff Hunt (nato nel 1948 è per alcuni anni presidente della Royal Society of Marine Artists), noto anche al grosso pubblico soprattutto per le immagini di copertina dei numerosi volumi di Patrick O’Brian a soggetto navale, con protagonista il comandante Jack Aubrey dell’era napoleonica. Tuttavia, Hunt non è il solo pittore di vaglia in questo settore ed altri artisti, senz’altro meno noti ma ugualmente abili e preparati, fanno della precisione e dell’attendibilità un punto di forza delle loro opere.

È questo il caso dello statunitense Valter Zveg (in realtà artista poco noto e sotto taluni aspetti misconosciuto) attivo tra gli anni Quaranta e gli anni Ottanta dello scorso secolo, che ha sempre collaborato con continuità con la Marina degli Stati Uniti e con numerosi musei e istituzioni storico navali della costa atlantica degli USA.

Il suo quadro che qui presentiamo è attualmente esposto all’Hampton Roads Naval Museum di Norfolk (Virginia) ed è classificato tra le opere di interesse storico dal Naval History and Heritage Command dell’US Navy, ossia l’Ufficio Storico della Marina degli Stati Uniti.

Il quadro (datato 1963) raffigura un momento della battaglia navale di Chesapeake del 5 settembre 1781, nota anche come “Battaglia dei due capi” in quanto svoltasi nelle acque fuori Norfolk comprese tra Cape Henry in Virginia e Cape Charles nel Maryland. Una squadra francese al comando del- l’ammiraglio Joseph Paul De Grasse (1722-1788) sconfisse in quell’occasione un’analoga formazione britannica guidata dall’ammiraglio Thomas Graves (1725- 1802): lo scontro è importante non soltanto perché si tratta di una delle rare vittorie conseguite dalla Marina francese contro la Royal Navy in ogni tempo ma anche perché, in seguito alla perdita della supremazia navale britannica in quel tratto di costa atlantica, il successivo 19 ottobre le truppe britanniche al comando di Lord Charles Cornwallis si arresero a Yorktown dando avvio al definitivo processo di indipendenza delle ex-colonie degli Stati Uniti dalla corona britannica.

Il quadro raffigura il momento culminante della battaglia, con la squadra francese (a sinistra) in linea di fila che - seppure sottovento alla squadra britannica - riesce nell’in- tento di arrecare gravi danni a quest’ultima. Le due navi in primo piano sono, verosimilmente, il “due ponti” francese Ville de Paris da 74 cannoni (nave di bandiera di De Grasse) e il similare London, nave di bandiera di Graves.

È notevole la precisione dei dettagli delle varie unità e della loro attrezzatura: da notare la corretta raffigurazione della velatura, con i trevi di trinchetto e maestra serrati per favorire il tiro delle artiglierie principali e dei fucilieri di marina presenti a bordo, come pure la navigazione “al lasco” delle due linee di fila in presenza del vento fresco da Nord- Nord Est che caratterizzò tutto lo scontro.

In effetti, uscendo da Norfolk. De Grasse fu costretto ad operare sempre sottovento alle unità britanniche, la cui linea di fila si trovava già al largo della costa. Tuttavia, ciò risultò favorevole per le sue unità, i cui cannoni del lato sinistro beneficia- vano in tal modo di un “alzo supplementare” dovuto al fatto che queste si trovavano - per l’appunto - sotto- vento ai vascelli britannici, le cui artiglierie impiegate nello scontro (vale a dire quelle del lato dritto) non potevano fare fuoco con continuità contro il nemico trovandosi spesso le bocche dei cannoni rivolte verso l’acqua, anche al massimo alzo.

 

Maurizio BRESCIA

Direttore del mensile

Rivista fondata nel 1993 da Erminio Bagnasco

Rapallo, 27 Novembre 2018


SMART CONTRACT THROUGH BLOCKCHAIN

 

SMART CONTRACT THROUGH

BLOCKCHAIN

di Arrigo Garipoli

 


 

Smart Contract through BLOCKCHAIN – di Arrigo Garipoli
Oltre alle
Unmanned Autonomous Ships (*) e alla ricerca di nuove fonti di energia per alimentare i nuovi motori, possiamo immaginare un futuro in cui la diffusione delle criptovalute sia tale da investire ogni campo commerciale, compreso quello marittimo.

Potrei riempirVi di numeri e grafici sul valore del commercio marittimo; sulla sua crescita costante nel tempo su scala globale; su quante tonnellate di merce in container, alla rinfusa, in forma solida, liquida o gassosa sono state trasportate o movimentate nei porti di tutto il mondo in questi ultimi anni.

Per darvi un’idea delle cifre in gioco, mi basta dirVi che la flotta mondiale, secondo la stima della International Chamber of Shipping, ammonta a 1.9 miliardi di tonnellate di DWT. – 50.000 navi mercantili. – 1.2 milioni di marinai provenienti da tutto il mondo.

E’ quindi facile comprendere come la nave sia a tutt’oggi e lo sarà presumibilmente per i prossimi decenni, un mezzo di trasporto di primaria importanza per l’economia globale. Secondo l’IMO (International Maritime Organization) l’industria marittima internazionale è responsabile del trasporto di circa il 90% del commercio mondiale.

L’ONU prevede che nell’anno 2030 sul nostro pianeta ci saranno circa 8,5 miliardi di abitanti. Successivamente, si stima che la popolazione continuerà a crescere raggiungendo 9,7 miliardi nel 2050 e 11,2 miliardi nel 2100.

La ricerca delle migliori, sicure ed economiche vie di trasporto, non potrà che portare all’abbandono del trasporto su gomma per convergere su un maggiore impiego di quello aereo e marittimo.

Nessun Governo o impresa privata potrà ignorare questi aspetti che, inevitabilmente, cambieranno l’attuale sistema economico.

Stiamo vivendo tempi di rapida evoluzione, a causa di crisi economiche o per politiche di privatizzazioni di imprese di interesse nazionale, abbiamo assistito allo sgretolarsi di grandi società di Navigazione (Italia, Agip, Tirrenia ecc.) e allo sviluppo di nuove grandi compagnie che oggi monopolizzano il mercato. L’impresa di navigazione è per sua natura vulnerabile e i grandi cambiamenti della globalizzazione hanno influito pesantemente sulla sua struttura e, indirettamente, su tutto ciò che le gravita attorno.

Abbiamo assistito alla graduale diminuzione degli equipaggi che componevano la tabella d’armamento “tipo”, per una nave di grande tonnellaggio di qualche decennio addietro, che contava sino a 32 unità, per arrivare a quelle odierne, composte a volte da soli 9 membri di equipaggio incluso il Comandante. Alcune categorie di marittimi sono addirittura scomparse, sostituite da macchine e tecnologie sempre più avanzate.

Abbiamo assistito alla riduzione degli stipendi, dei privilegi, delle tariffe portuali per i servizi tecnico-nautici, di quelle destinate agli operatori portuali, ai raccomandatari marittimi ecc.

Nell’epoca dei grandi cambiamenti, a volte confusi, abbiamo assistito alla privatizzazione di interi porti, come è accaduto in UK a Southampton, Hull o Grimsby Himmingam, dove sono sparite figure storiche come gli Stevedores Unions e i Piloti della Trinity House, che sul Fiume Humber e Southampton fin dall’eta di 16 anni imparavano il mestiere tramandato dalle generazioni precedenti.

In questo preciso momento nuove tecnologie si stanno sviluppando, alcune potranno essere rallentate nella loro diffusione, ma il progresso che le accompagna non potrà mai essere fermato.

Per questo vorrei affrontare con Voi un argomento ancora poco diffuso, ma di impatto potenzialmente enorme e, per farlo, porrei la seguente domanda: Può una moneta virtuale cambiare lo scenario mondiale dei traffici marittimi?

La rivoluzione tecnologica legata al Bitcoin, e alle criptovalute in generale (destinate a detta di molti a sostituire nei prossimi decenni le valute monetarie globali, USD, EUR, YEN ecc.), unita al veloce progresso dell’intelligenza artificiale AI (destinata a sostituire l’impiego umano in tantissimi settori lavorativi) permetterà, in avvenire, l’adozione di tecnologie futuristiche, oggi impensabili.




Tecnologie la cui applicazione sarà ostacolata unicamente dall’eventuale inadeguatezza strutturale piuttosto che della volontà/speranza di una loro applicazione.

Oltre alle Unmanned Autonomous Ships (*) e alla ricerca di nuove fonti di energia per alimentare i nuovi motori, possiamo immaginare un futuro in cui la diffusione delle criptovalute sia tale da investire ogni campo commerciale, compreso quello marittimo e, allora, è di strategica e fondamentale importanza lo studio, la ricerca e la sperimentazione delle tecnologie ad esse direttamente collegate oltre a quelle che con esse possano interagire.

Non vorrei cambiare ritmo e annoiarVi con tecnicismi, neologismi o ragionamenti contorti, ma è di fondamentale importanza capire cosa sia una Blockchain (tecnologia alla base delle criptovalute) prima di proseguire.

Per approfondimenti sull’argomento Vi rimando al WorldWideWeb:

https://www.blockchain4innovation.it/esperti/blockchain-perche-e-cosi-importante/#Blockchain_come_evoluzione_del_concetto_Ledger_Libro_Mastro

In poche parole:

La blockchain è un ledger distribuito, ovvero un database di informazioni condivise con le seguenti dirompenti caratteristiche:

  • Immutabilità delle informazioni in esse contenute e impossibilità di cancellazione delle informazioni grazie alla distribuzione di queste e alla loro condivisione su scala globale.
  • Decentralizzazione del database, di tipo peer-to-peer.
  • Sicurezza.
  • Trasparenza.

Legati alla blockchain possiamo avere Smart Contract, Criptovalute, Token.

La blockchain è alla base di un democratico processo di transazioni che sta rapidamente espandendosi nel mondo.

L’interazione tra Blockchain e AI sarà determinante e anche l’intelligenza artificiale è già una realtà in fase di consolidamento.

Esistono società ed applicazioni che sono riuscite in parte e a diversi livelli a riprodurre le capacità del cervello umano. Nel campo della robotica e della bioingegneria i progressi ci fanno comprendere come l’avvento dei cosiddetti cyborg non sia poi cosi lontano.

Quale sviluppo si può ipotizzare per il trasporto marittimo?


Grazie alla semplificazione dei processi, agli Smart Contract inseriti negli sviluppi di piattaforme Blockchain, all’innovazione nello sviluppo dei Droni e nell’evoluzione massiccia dell’Intelligenza Artificiale, l’impiego umano nell’ambito dei trasporti e della sua logistica sarà sempre più limitato.

Le figure professionali di una volta (di bordo e di terra) spariranno o si evolveranno e nuove opportunità di lavoro nasceranno.

Sarà importante creare ed addestrare “squadre di intervento rapido” in grado di intervenire per risolvere ogni tipo di problematica, anche raggiungendo il mezzo o il sito da ripristinare. Il Comandante di domani, dopo essere stato l’ultimo membro rimasto a bordo, potrà essere impiegato nella programmazione e nel controllo della nave Drone, mentre la figura del Raccomandatario Marittimo si dovrà evolvere, acquisire tecnologie da Server di Sistema per permettere alla Blockchain di sviluppare gli Smart Contract e monitorare la fluidità dei processi da trasmettere all’Armatore.

Anche le dogane con lo sviluppo del fascicolo elettronico FI (già oggi in atto) semplificheranno le procedure burocratiche, interfacciandosi con la stessa blockchain del vettore per l’applicazione delle tariffe, mentre i magazzini doganali potranno lasciare spazio a siti generici, se dichiarati all’interno della blockchain per tempo.

Ai giovani che si affacciano oggi al mercato del lavoro conviene accettare la sfida. Le figure professionali che verranno formate dovranno avere dimestichezza con una nuova terminologia, apprendere il linguaggio macchina, essere aperte e flessibili.

Le Blockchain in ambito marittimo, potranno trovare applicazione per assicurare velocità e sicurezza alle transazioni che coinvolgono il sistema nave-trasporto e l’uomo potrà (e dovrà) controllare tutti i processi di integrazione AI (Artificial Intelligence), Robotica, Droni nel Trasporto Marittimo Integrato.

I vantaggi saranno:

  • Ottimizzazione e velocizzazione dei processi delle attività dei trasporti marittimi, grazie alla natura decentralizzata della piattaforma.
  • Calo dei prezzi dei noli navi/carico, grazie alla trasparenza che la blockchain garantisce attraverso la sua tecnologia peer to peer.
  • Ottimizzazione dei costi e delle risorse, offrendo una criptovaluta dedicata esclusivamente al settore.

L’avvento della Blockchain con l’introduzione del concetto di Virtual Community, collegata attraverso la criptovaluta, non dovrebbe spaventare gli operatori legati ad usi e consuetudini rafforzatesi nel tempo e nemmeno creare una rottura nel modo di concepire il trasporto marittimo e l’intermediazione.

Saggi e avvezzi operatori marittimi troverebbero nella Piattaforma Blockchain Marittima un sistema per integrare i valori acquisiti nel tempo riportati al mondo digitale di domani.

La moderna figura del sistema introdotto dalla tecnologia blockchain può coadiuvare quella dell’Armatore, Comandante, Raccomandatario, Spedizioniere Marittimo, Vettore di oggi, per traghettarlo nel domani.

Attraverso la piattaforma programmata, gli operatori del futuro potranno raccogliere una maggiore quantità di clienti dando un impulso nuovo al settore dei trasporti, oggi appesantito dalla burocrazia e da interessi privatistici che, unitamente alla crisi economica, ne deprimono la capacità di rinnovamento.



Le Blockchains non potranno sostituire i rapporti umani di amicizia creati tra gli operatori nel mondo, che rimarranno tali anche nelle loro dinamiche di connessioni consolidate nel tempo, ma potranno garantire che tali rapporti si moltiplichino esponenzialmente, con la coscienza che la tecnologia applicata ai vari processi umani serva ad aumentare la qualità di vita degli stessi.

La corsa è già iniziata (*), lo sviluppo di queste tecnologie non può che vederci coinvolti per permetterci di dare il nostro contributo per una migliore gestione del 90% degli scambi commerciali che oggi avvengono tramite il trasporto marittimo.


 

(1) Industria marittima (numeri)

http://www.ics-shipping.org/images/Shipping-Facts/predicted-increases-in-world-seaborne-trade-gdp-and-population

http://www.ics-shipping.org/shipping-facts/shipping-and-world-trade/world-seaborne-trade

(2) blockchain

https://www.gartner.com/it-glossary/blockchain

https://www.i-cio.com/big-thinkers/don-tapscott/item/from-the-internet-of-information-to-the-internet-of-value

(3) cryptocurrency

https://en.wikipedia.org/wiki/Cryptocurrency

https://www.statista.com/statistics/377382/bitcoin-market-capitalization/

https://howmuch.net/articles/worlds-money-in-perspective

(4) AI

http://www.dhl.com/en/about_us/logistics_insights/dhl_trend_research/robotics_in_logistics

https://www.wired.co.uk/article/rolls-royce-autonomous-cargo-ships

https://www.forbes.com/2017/11/06/the-future-of-the-transport-industry-iot-big-data-ai-and-autonomous-vehicles

(5) Cina

https://www.zerohedge.com/china-central-bank-prepares-regulate-bitcoin-mining

(6) Venezuela

https://qz.com/bitcoin-trading-in-venezuela-is-skyrocketing-amid-14000-inflation/

(7) Tokenizzazione

https://medium.com/asset-tokenization-on-blockchain-explained-in-plain-english

https://medium.com/fintech-weekly-magazine/how-tokenization-is-transforming-real-world-assets-on-the-blockchain

https://bitcoinmagazine.com/articles/op-ed-how-tokenization-putting-real-world-assets-blockchains

(8) Europa

http://www.europarl.europa.eu/news/en/headlines/world/virtual-currencies-the-technology-is-rapidly-evolving-and-we-must-follow-it

(9) NASDAQ + Gemini

https://www.cnbc.com/2018/04/25/nasdaq-is-open-to-becoming-cryptocurrency-exchange-ceo-says

https://howmuch.net/articles/worlds-money-in-perspective

Di Maurizio Garipoli| 2018-08-25T16:41:41+00:00 25 agosto 2018|Attualità, News|1 Commento


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Rapallo, martedì 28 agosto 2018

A cura di MARE NOSTRUM RAPALLO

 

 



LA CAMPANA DELLA FREGATA H.M.S. LUTINE

LA CAMPANA DELLA FREGATA H.M.S. LUTINE

EX FREGATA FRANCESE LA LUTINE

"I LLOYD'S di LONDRA"

LE CARATTERISTICHE GENERALI DELLA FREGATA LA LUTINE

Sotto bandiere Francese

23 ottobre 1778…… - Ordinata una fregata di classe Margicienne LA LUTINE presso il Cantiere navale di Toulone

11 settembre 1779  - Varata

8 agosto  1793 ….. – Catturata dagli inglesi

Sotto bandiera britannica

Prende il nome di HMS LUTINE

Agosto 1793  …………………………  - Acquisita

9 ottobre 1799 ………………………..- Naufragata

Dislocamento …………………………..- 600 tonn.

Dislocamento a pieno carico…… - 1.000 tonn.

Lunghezza……………………………….. - 44,2 mt.

Baglio……………………………………….  – 11,2 mt.

Armamento:

26 cannoni da 12 libbre

6  cannoni da   6 libbre

Dal sito della Casina dei Capitani di Meta di Sorrento, riportiamo una breve sintesi da un saggio di Fortunato Imperato.

Tale campana, apparteneva all'ex fregata francese "La Lutine" che, arresasi nel 1793 agli inglesi nel porto di Tolone, venne da quest'ultimi fatta navigare come "H.M.S. LUTINE" sotto loro bandiera. Essa era coperta da assicurazione dai Lloyd's quando, con un carico di lingotti d'oro e d'argento naufragò, nel 1799, sulle coste danesi. Mantenendo fede agli impegni assunti, i Lloyd's pagarono il relativo indennizzo pari a un milione di sterline dell'epoca, rimanendo padroni del relitto il cui ricupero divenne molto difficoltoso. Soltanto nel 1859 furono ricuperati diversi oggetti, tra cui la campana della nave e, dal quel momento, essa fu posta nella sede dei Lloyd's a Londra, assolvendo fino al 1981, la funzione di "Avviso". Da allora, con il progresso informatico e delle comunicazioni satellitari, è diventata superflua e viene usata solo in particolari cerimonie, come per il 1996 eseguendo quindi tre rintocchi per distinguerli da quelli usati tradizionalmente prima.


1996 - Il Chairman suona eccezionalmente la campana (Lutine Bell) per annunciare il nuovo piano di risanamento e sviluppo della società. La campana della nave (incisa "ST JEAN - 1779") fu recuperata il 17 luglio 1858. Fu trovata fu trovata impigliata nelle catene. La campana pesa oltre 45 chili si trova tuttora nella sede dei Lloyds di Londra a Lime Street.


La "Lutine Bell", la campana della nave "Lutine", è la famosa campana che, posta nella sala delle contrattazioni dei Lloyd's, ha annunciato per quasi un secolo, le notizie buone o cattive, a tutti gli operatori interessati. Ciò avveniva quando un assicuratore non avendo più notizie di una nave da lui assicurata, nel dubbio di dover pagare, riassicurava tali rischi con un altro membro dei Lloyd's ed i rintocchi della campana permettevano a tutti di essere avvisati contemporaneamente dell'evolversi della situazione.

 

La campana della nave fu ritrovata nel 1858 e portata nella Underwriting Room (Sala delle sottoscrizioni) dei Lloyd’s (l’assicurazione) e divenne tradizione farla suonare tutte le volte che una nave era in ritardo.

1. La campana veniva suonata una volta se la nave era affondata.

2. La campana veniva suonata due volte se la nave in arrivo in porto, ERA STATA CONSIDERATA DISPERSA.

Questo serviva a far sapere la situazione a tutti i brokers nell’edificio.

I Lloyd's di Londra* hanno conservato la sua campana salvata - la Lutine Bell - che ora viene usata per scopi cerimoniali nella loro sede di Londra.

La campana ora ha delle crepe e non viene più suonata regolarmente, viene però suonata se muore un membro della famiglia reale o in seguito a grandi disastri come l’attacco alle Twin Towers o lo tsunami in Asia.

BREVE DIVAGAZIONE…

Durante la seconda guerra mondiale, il propagandista della radio nazista Lord Haw-Haw* asserì che la campana veniva suonata continuamente a causa delle perdite di spedizione alleate durante la Battaglia dell’Atlantico. Infatti, la campana fu suonata una volta, con un anello, durante la guerra, quando la BISMARCK fu affondata.


Nell'ottobre del 1799 fu impiegata nel trasporto di circa 1,2 milioni di sterline in lingotti e monete (equivalenti in valore a £ 108 milioni nel 2018), da Yarmouth a Cuxhaven per fornire alle banche di Amburgo i fondi per impedire il crollo del mercato azionario e, possibilmente, per pagare le truppe nell'Olanda Settentrionale. La sera del 9 ottobre 1799, durante una forte burrasca da Nord Ovest, il Comandante Lancelot Skynner, perse il governo della nave quando entrò nel vortice delle maree presenti nel Waddenzee, e naufragò su un banco di sabbia a Vlie, al largo dell'isola di Terschelling, nelle Isole della frisia Occidentale. In quel mare in tempesta morirono 240 membri dell'equipaggio. Era il 9 ottobre 1799. La maggior parte del carico non fu mai recuperata.

NOTE:

*Lloyd's di Londra

Lloyd's Assicurazioni è una corporazione inglese di assicurazioni nata verso la fine del XVII secolo e situata nel principale distretto finanziario della City. Inizialmente, armatori e uomini d'affari cominciarono a riunirsi nella caffetteria di Edward Lloyd a Londra, vicino al fiume Tamigi, al fine di assicurare le loro navi. Al giorno d'oggi è conosciuta come uno dei più importanti mercati assicurativi del mondo, e ci riferisce alla corporazione come "I Lloyd's.
I Lloyd's non sottoscrivono assicurazioni in proprio nome, che sono invece lasciate ai membri. La corporazione opera in modo efficace come un regolatore del mercato, stabilendo regole in base alle quali i membri possono operare e offrire servizi centralizzati agli altri operatori iscritti. Ci sono due categorie di persone e imprese che operano presso i Lloyd's. I primi sono soci o dei fornitori di capitale, gli underwriters , i secondi sono agenti, broker e altri professionisti che sostengono i soci, sottoscrivono i rischi, e rappresentano i clienti all'esterno.

*Haw-Haw


1945: William Joyce in ambulanza sotto scorta armata, prima di essere trasferito dal quartier generale della Seconda Armata britannica in un ospedale.

Lord Haw-Haw era il soprannome conferito a William Joyce d’origine irlandese, il quale trasmetteva giornalmente la propaganda nazista dalla Germania durante la Seconda guerra mondiale. Le trasmissioni si aprivano con la frase: "Germania che chiama, Germania che chiama", pronunciata con accento aristocratico (posh).

Lo stesso soprannome fu applicato anche ad altre emittenti tedesche di propaganda in lingua inglese, ma è Joyce con il quale il nome è ora identificato in modo schiacciante. Ci sono varie teorie sulla sua origine.

Una fregata di tipo MARGICIENNE

il 10 ottobre Portolock, il comandante dello squadrone britannico di VLIELAND, riportò la perdita della fregata, scrivendo all’ammiragliato di Londra:

H.M.S. LUTINE in difficoltà nella tempesta

 

“Signore, è con estremo dolore che devo dichiararle il malinconico destino della HMS Lutine, che la nave ha corso durante il passaggio sulla riva esterna dell'Isola del Fly (un'anglicizzazione di "Vlie") nella notte tra il 9 ed il 10 durante una forte burrasca da NNW, e temo che l'equipaggio sia perito, con l'eccezione di un uomo, che è stato salvato su una parte del relitto. Quest'uomo, una volta salvato, era quasi esausto. Attualmente si sta riprendendo e riferisce che la Lutine lasciò Yarmouth Roads la mattina del 9 con a bordo una considerevole quantità di denaro.

Il vento che soffiava forte da NNW, e la marea sottovento, ha reso impossibile ogni tentativo di salvataggio con gli Schowts  (schuits, navi da pesca locali) o altre barche locali.

Userò ogni sforzo per salvare ciò che posso dal naufragio, ma dalla situazione in cui si trova, temo che poco sarà recuperato”.

Tre ufficiali, incluso il capitano Skynner, furono sepolti nel cimitero di Vlieland, e circa duecento dello stesso equipaggio furono sepolti in una fossa comune vicino al faro di Brandaris a Terschelling. Nessun monumento commemorativo ricorda queste tombe.

Il capitano Lancelot Skynner proveniva da Easton on the Hill, vicino a Stamford, in Inghilterra, dove suo padre era stato rettore per molti anni. Nella ex canonica del paese esistono alcune targhe che la ricordano come Lutine House, mentre nella chiesa é commemorato il capitano Skynner.

Anche il recupero dell’oro ha una sua lunga odissea storica…. Ma appunto, é un’altra storia!

Carlo GATTI

 

Rapallo, 7 Novembre 2018


LE GRANDI NAVI

 

Manuela Maria Campanelli, biologa e giornalista per diverse testate tra cui il Corriere della sera, si occupa di divulgazione scientifica dal 1992.


LE GRANDI NAVI



Oscurano i tramonti di Venezia, gettano un’ombra sul Vesuvio di Napoli e nascondono la vista della Lanterna di Genova. Sono le navi da crociera che con un carico di 5 mila passeggeri e una stazza di oltre 130.000  mila tonnellate passano sempre più spesso nelle zone aeroportuali di molte delle nostre città, determinando un forte impatto ambientale. <<In laguna ogni loro passaggio fa diminuire il livello della superficie marina di 20 cm per il risucchio e bruciando petrolio di scarsa qualità provocano un inquinamento da zolfo combusto pari in quantità a quello prodotto da 14 mila vetture>>, precisa Salvatore Mauro, ricercatore all’Istituto Nazionale per lo Studio ed esperienze di architettura navale Insean del Cnr di Roma.

I danni che provocano

Il traffico marittimo, solo per il fatto che esiste e si muove in aree naturali, è associato a un effetto antropomorfico più o meno grande a seconda delle dimensioni di queste grandi imbarcazioni e del luogo del loro transito. <<Basti pensare che per mantenere il proprio assetto devono imbarcare tonnellate d’acqua che prelevano in ogni dove nel mondo per poi scaricarle con tutte le specie microbiche aliene in esse sospese nelle nostre acque costiere>>, ci riferisce Salvatore Mauro. <<Le stesse incrostazioni che si formano sulle superfici sommerse di queste città galleggianti inquinano: diventando dei veri e propri scogli di un metro e mezzo di spessore, trasportano organismi viventi che entrano in competizione con le nostre specie locali>>. Le onde che generano possono inoltre spostare masse d’acqua anche di 130 mila tonnellate che come secchiate d’acqua si riversano nelle strutture murarie costruite sulla costa.

I sistemi di controllo

Eppure organi addetti al controllo del loro passaggio esistono. Uno di questi è la Capitaneria di Porto che governa il traffico nei corridoi marini. Ma non solo. Il Vessel Trafic Service (VTS), il sistema di monitoraggio del traffico marino, consente di avere in tempo reale i dati sulla rotta delle navi: grazie a radar posizionati sulla costa (in Italia se ne contano otto dislocati in altrettante aree ad alta densità di traffico) collegati a un sistema informatico, permette di risalire velocemente all’imbarcazione che insiste su quella determinata zona geografica. Esiste inoltre l’International Maritime Organization (IMO), un’emanazione dell’ONU presente in 158 nazioni che legifera su norme relative all’adeguamento tecnico delle navi, all’aggiornamento del personale di bordo e alla sicurezza. Il RINA, il Registro Italiano Navale, s’interessa che le norme IMO vengano rispettate: fa adeguamenti tecnici e dà certificazioni mentre la Capitaneria di Porto controlla il suo operato. L’ECDIS (Electronic Chart Display and Information System), il sistema informatico di navigazione basato su computer che soddisfa i regolamenti IMO, visualizza le informazioni provenienti da carte elettroniche o nautiche digitali e integra le informazioni di posizione, rotta e velocità attraverso sistemi d’informazione d’acqua e altri sensori. L’Automatic Identification System (AIS) trasmette infine targa, bandiera, tipo di carico e nome dell’imbarcazione nella zona in cui la nave passa e a tutto il mondo.

Idee ecologiche

Nonostante queste “sentinelle” tecnologiche i disastri succedono, vedi la sciagura della Costa Concordia. Oltre alle navi da crociera, i nostri mari sopportare però anche il 25 per cento del traffico petroliero mondiale e il passaggio di moltissime navi da trasporto. Come ridurre il loro impatto ambientale? Rallentando la loro andatura per esempio. <<Diminuendo di 14 miglia all’ora la velocità delle navi cargo, si ridurrebbero del 60 per cento il diossido di carbonio e del 55 per cento gli ossidi di azoto contenuti nei loro gas di scarico>>, propone il California Air Resource Board sulle pagine della rivista Environmental Science & Techonolgy. Oppure attivando provvedimenti e indirizzi politici volti a garantire un uso più diffuso dei gas naturali GPL e GNL, come è stato suggerito al Forum Internazionale dedicato all’innovazione tecnologica per lo sviluppo del cluster marittimo, tenutosi di recente a Genova. Se infatti per il primo esiste già una rete di distribuzione, per il secondo mancano infrastrutture per il suo approvvigionamento. Queste fonti energetiche a basso impatto ambientale ma con un’elevata densità energetica e una notevole versatilità d’impiego, renderebbero la navigazione più sostenibile e concorrerebbero a raggiungere l’obiettivo dell’Unione Europea di diminuire del 60 per cento la quota dei gas con effetto serra. In particolare il GNP una volta refrigerato e liquefatto si ridurrebbe in volume di ben 600 volte permettendone d’immagazzinare una grande quantità in poco spazio.

Mezzi sicuri

Non mancano neppure iniziative volte a controllare con estrema precisione i movimenti di queste grandi navi. Vincitrice del premio “Red dot award 2013” per il design di prodotto, è per esempio la leva di comando Azimut, un’interfaccia distintiva che permette di manovrare le imbarcazioni da crociera con una precisione al decimetro, controllando la velocità delle eliche di propulsione e l’angolo di virata: luci regolabili massimizzano inoltre la visibilità di notte e durante le giornate di sole intenso. Questi e altri accorgimenti sono volti a rendere più sicuro il traffico marittimo che, non dimentichiamolo, è tuttavia la modalità di trasporto a più basso impatto ambientale. Se le navi sono costruite con tecnologie idonee, si avvalgono di manutenzioni adeguate e ospitano personale di bordo ben addestrato, sono senz’altro più sicure e meno inquinanti dello stesso traffico aereo.

Manuela Campanelli

Rapallo, 29 luglio 2018


IL PORTO DI CLASSE - RAVENNA

IL PORTO DI CLASSE

RAVENNA

Ricostruzione dell’abitato di Classe (in primo piano), una delle principali città portuali dell’Adriatico e del territorio circostanze nel VI sec. Sullo sfondo la città di Ravenna.

Civitas Classis è il nome antico di CLASSE (Ravenna), un centro abitato nel comune di Ravenna. (2.000 abitanti c.ca).

Il suo toponimo deriva dal latino Classis, “FLOTTA MILITARE”. Dove oggi c'è il centro abitato, infatti, in epoca romana vi era un porto che ospitava una flotta permanente della Marina Militare dell’Impero Romano. In epoca bizantina il porto divenne la sede principale della flotta di Costantinopoli in Occidente.


Il porto di Classe. Mosaico della Basilica di Sant’Apollinare Nuovo.  (inizio del VI secolo).

Cammeo – Tiberio Claudio

 

Tiberio Claudio celebrò nella sede della flotta ravennate le sue vittorie sui Britanni, venne eretto un arco trionfale (noto come Porta Aurea) prospiciente il bacino portuale. Dall’arco, tramite il suo principale asse stradale, si accede al foro della città, in cui probabilmente si colloca l’ara della gens Iulia, di cui si conservano alcune lastre decorative.

Il porto di Classe aveva una struttura simile a quello di Miseno, (Golfo di Napoli), dove aveva sede la flotta del Mediterraneo occidentale. Le lagune di Ravenna erano separate dal mare da una moltitudine di dune costiere dove i romani progettarono un canale per mettere in comunicazione il porto con il mare.

La Fossa Augusta, congiungeva Classe con Ravenna. Prolungata verso nord, la Fossa Augusta collegava Ravenna alla laguna veneta.

Un’ampia zona da Classe ad Aquileia divenne navigabile per circa 250 km. Praticamente in bonaccia di vento e di mare.

Classe era collegata a Ravenna anche da una strada, la Via Caesaris. Costruita nel I secolo a.C., iniziava a Ravenna da Porta Cesarea e, seguendo un tratto rettilineo, attraversava Classe e terminava il suo corso nella via Popilia. (vedi carte digitali)

Lungo la Fossa Augusta c’era l’arsenale che costruì navi fino all’epoca di Teodorico. Lo sviluppo delle banchine raggiungeva i 3 chilometri e poteva ospitare fino a 250 imbarcazioni.

Purtroppo, A causa del cedimento del terreno, l’area ravennate divenne progressivamente paludosa. All'inizio del IV secolo, tale fenomeno fu così evidente che le banchine, i cantieri e le strade di accesso al porto erano diventate inservibili. Considerate queste condizioni, l’imperatore Costantino decise di trasferire la base della flotta a Bisanzio.

LA FLOTTA ed il suo organico

Il numero degli effettivi si aggirava intorno ai 10.000 tra legionari e ausiliari.

Praefectus classis Ravennatis era il comandante in capo della flotta. Sub praefectus era il subordinato del praefectus, affiancato a sua volta da una serie di praepositi.

Navarchus princeps ricopriva il grado di contrammiraglio. Nel III secolo fu poi creato il Tribunus classis con le funzioni del Navarchus princeps, più tardi tribunus liburnarum.

Il Trierarchus era il comandante di una singola imbarcazione equipaggiata da rematori e da una centuria di marinai-soldati (manipulares / milites liburnarii).

(Classiari o Classici) costituivano il personale della flotta che riusultava diviso in due reparti distinti: gli addetti alla navigazione ed i marines, si chiamerebbero oggi.

Il servizio durava 26 anni (contro i 20 dei legionari ed i 25 degli auxilia). Dal III secolo la ferma fu aumentata fino a 28 anni. Al momento del congedo (Honesta missio) ai marinai erano date: una liquidazione, dei terreni e di solito anche la cittadinanza romana, provenendo essi dalla condizione di peregrini al momento dell'arruolamento. Il matrimonio, invece, era permesso loro solo al termine del servizio attivo permanente.

Si ricordano alcuni Praefecti classis Ravennatis:

· al tempo dell'Imperatore Nerone, era Publio Clodio Quirinale.

· al tempo della guerra civile degli anni 68-69, l'imperatore Vitellio affidò il comando delle flotte Ravennatis e Misenis a Sesto Lucillo Basso.

· sotto Vespasiano, il comando passò nelle mani del sostenitore dei Flavi, Cornelio Fusco. Con i marinai della flotta Ravennatis, nel 70 d.C. fu formata una nuova legione, la II Adiutrix.

· Tito Appalio Alfino Secondo, verso la seconda parte del II secolo;

· Tito Cornasidio Sabino, tra la fine del II e la prima parte del III secolo;

· al tempo di Settimio Severo e Caracalla: Gneo Marcio Rustio Rufino


Il sito archeologico corrisponde all'area portuale dell’antica città di Classe e comprende una serie di magazzini edificati lungo le banchine di un canale, prospicienti una strada lastricata in trachiti euganee.

La storia ci racconta che Ravenna, città di mare, era stata fondata dagli etruschi-umbri. Fu colonia romana nel II secolo a.C. e destinata, per decisione finale di Augusto, ad avere, nel suo immediato ambito geografico di mare, terre, canali e fiumi: IL PORTO MILITARE PER LA FLOTTA PRETORIA. Ravenna venne quindi scelta dall’imperatore in persona come sede della seconda flotta militare, la Classis Ravennatis alla quale venne assegnato il compito strategico di controllare il Mediterraneo orientale: l’Adriatico, lo Ionio, l’Egeo.

Ravenna deve pertanto a Roma e all’Impero Romano tutta la sua importanza raggiunta (con merito) nella storia navale. La sua fedele e stabile Alleanza con Roma fu cementata dall’unione delle due FLOTTE: la classis Ravennatis e la classis di Capo Miseno sotto un unico comando, di cui ci siamo già occupati nella stessa sezione storica di questo sito: Mare Nostrum Rapallo.

L’asse strategico (Ravenna - Roma - Capo Miseno - Napoli), disegnava il dominio di tutti mari italiani fornendo una connotazione precisa ed essenziale della strategia militare su cui si era basata per secoli la storia imperiale di Roma.

Abbiamo appena accennato all’importanza militare di Ravenna, ma per comprendere interamente l’eredità del suo patrimonio, dobbiamo anche citare e aggiungere la sua immensa VICENDA ARTISTICA E CULTURALE che Roma delegò a questa città sentendosi ad essa unita da profonde connessioni storiche e relazioni geopolitiche.

L’imperatore Claudio (grande esperto di portualità) costruì la porta Aurea (arco di trionfo), ripianificò il porto, i canali e la flotta. Nel 42 d.C. Vespasiano (eletto con la flotta di Ravenna) promosse al ruolo di prefetto, simultaneamente di Ravenna e Miseno, Lucilio Basso per la conclusione della guerra giudaica trasferendolo da Roma a Miseno ed infine a Gerusalemme (70 d.C.)

L’imperatore Traiano, negli anni 110-113, costruì l’acquedotto ravennate per la flotta, le truppe classiarie e per la città servendosi ripetutamente della città e del porto di Ravenna per le spedizioni in Dacia, tuttora immortalate sulla Colonna Traiana di Roma.

A questo punto della storia Ravenna, pur restando una realtà di Roma e dell’Impero, assunse una connotazione di collegamento con l’Oriente: un blasone che prolungherà la durata dell’Impero Romano.

Di questa Ravenna “romana” rimangono otto monumenti dichiarati dall’UNESCO-patrimonio-dell’umanità:


Il mausoleo di Galla Placidia – Le basiliche di San Vitale – di S.Apollinare Nuovo e S.Apollinare in Classe - Il Battistero Ortodosso - Il Battistero degli Ariani - La Cappella arcivescovile, cioè i sette edifici di culto cattolico e ariano in cui vi sono pareti in mosaico, oltre al mausoleo di Teodorico in pietra d’Istria. Questo patrimonio ha una eccezionale unità di tempo e di luogo. (vedi sotto: Album fotografico)

La navigazione, i porti, le navi e gli equipaggi costituiscono il patrimonio culturale da cui nasce la Storia di Ravenna.

Le sue colonne, capitelli, sarcofagi, lastre e transenne provengono dalle cave del Proconneso (mar di Marmara), dalle officine di Costantinopoli e da altri siti del medio-Oriente.

Secondo lo studioso Viktor Lazarev: Ravenna trasse profitto dall’attività edilizia e dalla munificenza di Onorio, di Galla Placidia, di Valentiniano III, di Odoacre, di Teodorico e di Giustiniano. Si é conservato così un complesso, unico nel suo genere, di monumenti del V, del VI e del VII secolo, di cui non esiste l’eguale in alcun’altra città”.

Ricostruzione digitali di Ravenna Antica

Ricostruzioni 3D Ravenna Antica dal I al VI secolo

Caio Giulio Cesare Ottaviano, Augusto per volere del Senato di Roma dal 27 a.C., è considerato il primo imperatore romano, colui che segnò la storia di Roma concludendo la fase delle guerre civili e favorendo il passaggio dell'Urbe dall'era repubblicana a quella imperiale.

Ravenna da Augusto a Giustiniano: Ricostruzioni digitali per comprendere la città.

Prendiamo a prestito, a scopo divulgativo e per una maggiore comprensione storica ed architettonica di Ravenna-Classe, un corposo lavoro elaborato per la fondazione RavennAntica” e l’Accademia di Belle Arti di Ravenna: la storia delle modificazioni urbane e territoriali delle città di Ravenna e Classe dal I al VI secolo d.C. raccontate attraverso delle vedute aree di un'area di oltre 60 kmq. Il materiale è visibile presso il museo TAMO a Ravenna.

Ricostruzioni 3D Ravenna Antica dal I al VI secolo


L’età di Augusto e Claudio (I – II secolo d.C.)

Ravenna viene scelta da Ottaviano Augusto come sede della seconda flotta militare, la Classis Ravennatis. Alla flotta ravennate viene assegnato il compito di sorvegliare il Mediterraneo orientale: l’Adriatico, lo Ionio, l’Egeo.

Città federata legata a Roma da un trattato di alleanza per motivi logistico e politico, si trova a ridosso della linea di costa ed è inserita nel sistema delle lagune del delta padano. Questo la collega attraverso il Po ai principali centri della pianura padana, sino a Torino, e attraverso le lagune adriatiche sino ad Aquileia.

Per collegare il Po al bacino portuale viene strutturata la Fossa Augusta di cui parla Plinio il Vecchio, che fu prefetto della flotta di Miseno. La presenza di diecimila militari accrebbe il potenziale del territorio agricolo circostante, soprattutto le aree centuriate a sud e ovest della città, sviluppando una intensa e florida economia agraria.

Per desiderio dell’imperatore Tiberio Claudio, viene eretto un arco trionfale, meglio noto come Porta Aurea rivolto verso il bacino portuale.

La città di Ravenna, nel corso del II secolo conosce un momento di frenetica attività militare, a causa della guerra che Traiano si trova a combattere sul confine orientale dell’impero, finalizzata a contenere le spinte delle popolazioni della Pannonia e della Dacia.

Numerosi classiari, della flotta pretoria ravennate, come testimoniano i loro documenti funerari, provengono da quelle zone e hanno grande conoscenza della navigazione fluviale. Molti vengono dislocati nei territori di guerra e si rende necessario anche un distaccamento stabile di Ravennati sul mar Nero.

La costruzione dell’acquedotto, lungo il corso del Bidente-Ronco, porta finalmente l’acqua potabile a Ravenna.

 


Ravenna viene scelta da Ottaviano Augusto come sede della seconda flotta militare, la Classis Ravennatis. Alla flotta ravennate viene assegnato il compito di sorvegliare il Mediterraneo orientale: l’Adriatico, lo Ionio, l’Egeo.


Rispetto all’antico oppido di origine repubblicana la città si estende maggiormente verso oriente, al di là del Padenna, sistemato da Augusto per la navigazione interna della flotta, e verso settentrione, oltre il Flumisellum. L’incremento del sobborgo di Cesarea, che collega Ravenna a Classe, è fortemente legato alla presenza e alle attività degli impianti portuali.

La lunga epoca del ristagno

(III – IV secolo d.C.)

Il III secolo è considerato un periodo critico dal punto di vista politico ed economico. Questi fattori causano una prolungata anarchia militare, legata a devastanti invasioni di popolazioni barbariche, che si verificano soprattutto nella seconda metà del secolo.

Il governo della Tetrarchia, durante la riorganizzazione dell’impero voluta da Diocleziano, Ravenna riesce a rimanere attiva grazie al suo porto e tramite la navigazione endolagunare garantisce il collegamento commerciale con Aquileia e le regioni settentrionali, come indica l’editto sui prezzi.


La flotta è ancora al servizio imperiale anche se, una parte viene trasferita a Costantinopoli, la “nuova Roma” fondata da Costantino I nel 330.

A Ravenna, sono documentati incendi, abbattimenti e distruzioni di edifici privati urbani: un incendio devasta la domus su cui venne poi eretto il palazzo imperiale già nella seconda metà del II secolo; mentre risale all’inizio del IV secolo l’abbandono della domus d’età augustea addossata alle mura repubblicane.

L’acquedotto e le fogne sono fra i primi servizi a cadere in disuso, con forte degrado della vita urbana; anche le acque dei canali interni alla città risentono della perdita di costante controllo delle attività idriche.

Ravenna, divenuta capitale, si dovrà aspettare la fine del IV secolo perché abbia un nuovo aureo sviluppo.


Capitale dell’impero d’occidente

(V secolo d.C.)

Nel 402 d.C. Ravenna diviene capitale dell’impero romano d’occidente. Il trasferimento della corte genera investimenti e crescita, mentre tutte le altre città italiane incominciano la loro lenta, o repentina decadenza. Dal nuovo status di capitale la città riceve nuovo impulso e destina le sue energie nel definire un nuovo impianto urbanistico fondato su una grande attività edilizia pubblica, investendo sulle strutture e sulle attività portuali.


Gran parte delle attività funzionali e di governo convergono lungo l’asse costituito dalla Platea Maior, ossia il tratto urbano della via Popilia, e il corso del Padenna – Fossa Augusta, che, per il progressivo interramento dei bacini interni, avvenuto per cause naturali e per la mancata manutenzione, viene ripensata l’articolazione della città. Le strutture portuali sono gli arti di questo sistema. Il porto di nord est è la porta verso l’insicuro settentrione, mentre il porto di Classe, detiene il ruolo di scalo più importante nei rapporti con l’Oriente. Ravenna viene chiusa entro le mura. Classe assume una sua autonoma identità urbana e commerciale, anch’essa cinta dalle mura, mentre il sobborgo di Cesarea, da sempre legato al rapporto funzionale tra la città e Classe, si struttura con una propria identità funzionale e residenziale. Ravenna viene eletta capitale dell’impero romano d’occidente come roccaforte difensiva.


L’impronta di Teodorico (VI secolo d.C.)

Nel VI secolo Ravenna è capitale del regno dei Goti con Teodorico e successivamente centro dell’amministrazione bizantina in Italia. (dal 540 fino al 751) La città è ancora preziosa, per varie ragioni la sua posizione rimane strategica; i benefici apportati dalle infrastrutture realizzate nel secolo precedente sono ancora validi; è ancora attiva una tradizione militare navale di lungo corso e l’impianto della città, pensato per ruoli di grande importanza nel secolo precedente, viene consolidato con nuovo fervore costruttivo. In definitiva rimane sotto la dipendenza politica di Costantinopoli, Teodorico inquadra la propria opera edilizia nella tradizione politica romana del Principe, attraverso l’attività di restauro e di recupero. È in quest’ottica che si procede, per esempio, al restauro dell’acquedotto realizzato al tempo dell’imperatore Traiano, e di altri monumenti ed edifici romani, come la basilica di Ercole.

Se per Sidonio Apollinare nel V secolo Ravenna è una città duplice, nel VI secolo Giordane (Getica, 151) la descrive come una città tripartita, ossia composta da Ravenna, dal sobborgo di Cesarea e da Classe. Gli edifici di culto al servizio della comunità locale aumentano in un prodigio costruttivo che ne attesta la vitalità. In particolare l’evoluzione in senso urbano di Classe è compiuta, tanto da essere appellata Civitas Classis nel celeberrimo mosaico in Sant’Apollinare Nuovo.



Queste immagini digitali ci danno la possibilità di capire l’espansione di RAVENNA, di origine repubblicana, oltre le mura con domus private sempre più ricche; vennero effettuati interventi architettonici e innalzati edifici pubblici, in linea col sistema di propaganda della politica augustea. Per specifico desiderio dell’imperatore Tiberio Claudio, desideroso di celebrare nella sede della flotta ravennate le sue vittorie sui Britanni, fu eretto un arco trionfale (noto come Porta Aurea) prospiciente il bacino portuale. Dall’arco, tramite il suo principale asse stradale, si accede al foro della città, in cui probabilmente si colloca l’ara della gens Iulia, di cui si conservano alcune lastre decorative.

Anche le abitudini funerarie della popolazione si adeguarono al volere imperiale: la cremazione dei corpi sostituì quasi del tutto il rito dell’inumazione; nelle estese necropoli poste sulle dune marine, fuori dal contesto urbano, vennero innalzati importanti monumenti sepolcrali vicino a sepolture più modeste, di cui rimane il segno nelle numerose stele commemorative.

L'area portuale

Il porto di Classe era simile per conformazione a quello di Miseno, (Golfo di Napoli), dove aveva sede la flotta per il Mediterraneo occidentale, ma nel suo complesso non era del tutto naturale. Le lagune, interne rispetto alla costa, erano separate dal mare da un sistema di dune costiere. Per mettere in comunicazione il porto con il mare, i romani scavarono un canale tra le dune. Un secondo canale, la Fossa Augusta, congiungeva Classe con Ravenna. Prolungata verso nord, la Fossa Augusta collegava Ravenna alla laguna veneta.

Divenne così possibile navigare ininterrottamente da Classe ad Aquileia (circa 250 km) in acque calme e a regime costante.

Classe era collegata a Ravenna anche da una strada, la Via Caesaris. Costruita nel I secolo a.C., iniziava a Ravenna da Porta Cesarea e, seguendo un tratto rettilineo, attraversava Classe e terminava il suo corso nella via Popilia.

In città, lungo la Fossa Augusta, si trovava la fabbrica delle navi: l’arsenale. Esso fu attivo fino al tempo del re goto Teodorico. Attorno ai bacini si potevano vedere depositi a perdita d'occhio; lo sviluppo delle banchine raggiungeva i 3 chilometri e poteva ospitare fino a 250 imbarcazioni. La base militare ebbe poi alcuni distaccamenti nei principali porti del Mediterraneo, come ad esempio nel Mar Egeo, a il Pireo-Atene, o nel mare Adriatico ad Aquileia.

A causa dell’abbassamento del terreno, il territorio ravennate, divenne progressivamente paludoso. All'inizio del IV secolo, tale fenomeno fu così evidente che le banchine, i cantieri e le strade di accesso al porto erano diventate inservibili. Considerate queste condizioni, l’imperatore Costantino decise di trasferire la base della flotta a Bisanzio.

Il corpo Militare

Anche per la flotta ravennate il numero degli effettivi si aggirava intorno ai 10.000 tra legionari e ausiliari.

Il comandante della flotta era il Praefectus classis Ravennatis ovvero il comandante dell'intero bacino dell’Adfrioatico, appartenente all’Ordine Equestre. A sua volta il diretto subordinato del praefectus era un sub praefectus, a sua volta affiancato da una serie di praepositi, ufficiali posti a capo di ogni pattuglia per singola località.

Altri ufficiali erano poi il Navarchus princeps, che corrisponderebbe al grado di contrammiraglio di oggi. Nel III secolo fu poi creato il Tribunus classis con le funzioni del Navarchus princeps, più tardi tribunus liburnarum.

La singola imbarcazione era poi comandata da un trierarchus (ufficiale), dai rematori e da una centuria di marinai-combattenti (manipulares / milites liburnarii). Il personale della flotta (Classiari o Classici) era perciò diviso in due gruppi: gli addetti alla navigazione ed i soldati. Il servizio durava 26 anni (contro i 20 dei legionari ed i 25 degli auxilia). Dal III secolo la ferma fu aumentata fino a 28 anni. Al momento del congedo (Honesta misssio) ai marinai erano date: una liquidazione, dei terreni e di solito anche la cittadinanza romana, provenendo essi dalla condizione di peregrini al momento dell'arruolamento. Il matrimonio, invece, era permesso loro solo al termine del servizio attivo permanente.

Si ricordano alcuni Praefecti classis Ravennatis:

· al tempo dell'Imperatore Nerone, era Publio Clodio Quirinale.

· al tempo della guerra civile degli anni 68-69, l'imperatore Vitellio affidò il comando delle flotte Ravennatis e Misenis a Sesto Lucillo Basso.

· sotto Vespasiano, il comando passò nelle mani del sostenitore dei Flavi, Cornelio Fusco. Con i marinai della flotta Ravennatis, nel 70 d.C. fu formata una nuova legione, la II Adiutrix.

· Tito Appalio Alfino Secondo, verso la seconda parte del II secolo;

· Tito Cornasidio Sabino, tra la fine del II e la prima parte del III secolo;

· al tempo di Settimio Severo e Caracalla: Gneo Marcio Rustio Rufino

Il porto di Classe, come abbiamo visto, poteva ospitare in rada e lungo le banchine portuali fino a 250 navi da guerra. Lungo il canale artificiale e attorno ai bacini si scorgevano arsenali e depositi per molti chilometri. Il numero di militari che vivevano stabilmente a Classe era di circa 10.000. Il loro sostentamento era garantito da una azienda agricola di grandi dimensioni.

Il paese di Classe si estese attorno alle caserme dei soldati di marina (i classari), ai depositi di armi e alle officine navali.

Nel II secolo, il centro abitato divenne cittadina.

Nel III-IV secolo comparve una prima difesa, una specie di cinta muraria a forma di semicerchio attorno all'abitato.

Nel IV secolo, agli inizi, s’aggravò il fenomeno della subsidenza ed il territorio iniziò ad abbassarsi trasformandosi in palude.

In poco tempo sparirono i moli, i cantieri e le strade di accesso alle varie attività portuali che avevano dato per più di tre secoli assistenza a migliaia di navi dell’Impero Romano.

Nel 330 l'imperatore Costantino I decise di trasferire la base della flotta nella nuova capitale dell'impero, Costantinopoli.

ALBUM FOTOGRAFICO

 

Degli otto monumenti di RAVENNA dichiarati dall’UNESCO patrimonio dell’umanità

· Basilica di San Vitale

· Basilica di Sant'Apollinare Nuovo

· Basilica Sant'Apollinare in Classe

· Battistero degli Ariani

· Battistero Neoniano

· Cappella Arcivescovile

· Mausoleo di Galla Placidia

· Mausoleo di Teodorico

 

Sono otto i monumenti iscritti nella World Heritage List, la Lista del Patrimonio Mondiale, che rendono la città di Ravenna un vero e proprio scrigno di tesori da scoprire.

Per l'inestimabile valore delle testimonianze storiche e artistiche, Ravenna, città del mosaico, è stata riconosciuta Patrimonio Mondiale dall'UNESCO con queste motivazioni: "l'insieme dei monumenti religiosi paleocristiani di Ravenna è di importanza straordinaria in ragione della suprema maestria artistica dell'arte del mosaico. Essi sono inoltre la prova delle relazioni e dei contatti artistici e religiosi di un periodo importante della storia della cultura europea".

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La Basilica di San Vitale - Interni


 

^ BASILICA DI SAN VITALE ^

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Il cielo stellato di Galla Placidia


Mosaici del Mausoleo di Galla Placidia

Sant’Apollinare Nuovo - Corteo delle Vergini

 

^ MAUSOLEO DI GALLA PLACIDIA ^

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^ BASILICA DI SANT’APOLLINARE NUOVO ^

 

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Battistero Neoniano - Cupola, particolare del Battesimo


^ BATTISTERO NEONIANO ^

 

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Cappella Arcivescovile - Cristo Guerriero

 

^ CAPPELLA ARCIVESCOVILE ^

 

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Battistero degli Ariani - Particolare – Battesimo di Cristo

 

^ BATTISTERO DEGLI ARIANI ^

 

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Mausoleo di Teodorico - Interno particolare della vasca


^ MAUSOLEO DI TEODORICO ^

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Basilica di Sant’Apollinare in Classe - La croce centrale dell’abside


^ BASILICA DI SANT’APOLLINARE IN CLASSE ^

LA TOMBA DI  DANTE

Questo Mausoleo non fa parte del patriomonio dell'umanità dell'UNESCO perché si trova al di sopra di questa pur valente istituzione ...

Ravenna è  famosa anche per essere una città dantesca, e più precisamente la città che ospitò il Sommo Poeta negli ultimi anni della sua vita, celebrandone il funerale presso la chiesa di San Francesco nel 1321. Uno dei monumenti più visitati a Ravenna è infatti la Tomba di Dante, posta proprio vicino alla chiesa ed piazza San Francesco.

CARLO GATTI

Rapallo, 21 Settembre 2018

 


TRASPORTO SU CHIATTA

Fausto Mazza, autore del presente articolo, è Comandante di Cantiere e RSPP presso il cantiere navale T. Mariotti S.p.A. Dopo l'interessante pezzo sulle riparazioni navali, oggi punta i riflettori sopra un'altra realtà poco conosciuta: le chiatte.

J.G.

TRASPORTI SU CHIATTA

di Fausto Mazza

 

LE CHIATTE UN SETTORE DI NICCHIA


Le chiatte pontate sono galleggianti privi di propulsione, pressoché a forma di parallelepipede, caratterizzati da portate elevate, grande robustezza strutturale, ampie coperte libere da ingombri e pescaggio ridotto. Internamente il guscio dello scafo risulta suddiviso in compartimenti stagni, di capacità e numero adeguati ai fini della gestione dell’assetto.

Un ulteriore declinazione di questi mezzi di trasporto sono le chiatte semisommergibili. Queste sono mezzi specializzati che, mediante la gestione della zavorra, possono immergersi, appoggiandosi sul fondo e riemergere.

* La chiatte semisommergibili sono utilizzate per l’esecuzione delle seguenti operazioni: Analogamente alle chiatte normali, per il trasporto marittimo di grandi manufatti in relazione a opere in ambito civile, portuale, navale, offshore o, nell’ambito dei lavori marittimi, come piattaforme galleggianti in abbinamento all’utilizzo di mezzi di sollevamento terrestri quali gru semoventi ruotate o cingolate.

* Varo di costruzioni navali e moduli offshore mediante immersione parziale o totale della chiatta sia in acqua libera che dentro a un bacino di carenaggio.

* Presa in carico e messa a secco di unità navali o altri manufatti galleggianti in maniera del tutto analoga ad un bacino galleggiante.

La caricazione può avvenire mediante carrelli multiruota idraulici, sistemi di traslazione con verricelli, sollevamento verticale tramite gru o affondamento e successiva emersione della chiatta.

Le chiatte sono iscritte nel Registro del Naviglio Minore e dei Galleggianti e tipicamente sono prive di equipaggio imbarcato a ruolo. Non essendoci un ruolo equipaggio a bordo delle chiatte non esiste il Comandante. L’operatore incaricato della gestione della zavorra viene indicato con il termine anglosassone, mutuato dall’ off-shore, di Ballast Engineer o in maniera ancora più impropria con quello, preso a prestito dalle petroliere, di Tankista. Non esistono requisiti specifici per la qualifica di Ballast Engineer che, ai fini dell’Autorità Marittima, non esiste proprio. Il Ballast Engineer può essere un CLC (Capitano di lungo Corso)  o un CDM (Capitano di Macchina) ma può anche benissimo essere un perito industriale o un geometra o semplicemente una persona con esperienza pratica, in grado di governare il mezzo e di seguire le istruzioni per la zavorra preparate da terzi. E’ ovvio che, in relazione alle competenze specifiche, il profilo ideale per ricoprire questo ruolo sia quello del Capitano di Lungo Corso.

A seconda delle loro caratteristiche costruttive, le chiatte possono essere abilitate alla navigazione a rimorchio anche Internazionale Lunga. I trasferimenti avvengono sempre in assenza di personale a bordo; durante la navigazione le chiatte sono sotto la responsabilità del Comandante del rimorchiatore che ne effettua il trasferimento.

I sistemi di bordo di una chiatta semisommergibile non presentano aspetti tecnici di spicco. L’operazione nevralgica è sempre una sola: la movimentazione della zavorra per permettere la gestione di assetto, immersione ed emersione. Il macchinario di bordo si riduce ad un generatore che alimenta gli impianti di bordo, pompe di zavorra ove presenti, un compressore che fornisce l’aria compressa necessaria per lo spiazzamento della zavorra e per l’utilizzo del verricello salpancore.

Su una chiatta di moderna concezione troveremo un sistema di tele-livelli che consente all’operatore di conoscere la quantità d’acqua presente all’interno delle singole casse di zavorra; un sistema telecomandato di valvole di presa mare e valvole per la gestione della zavorra; un sistema di pompaggio della zavorra per mantenere l’assetto; un ulteriore sistema di spiazzamento della zavorra mediante aria compressa, utilizzato per emergere a seguito di un’immersione.

Purtroppo, molte unità ancora in servizio sono di concezione antiquata, con impiantistica ridotta al minimo, quindi caricazione e discarica della zavorra avvengono per sola gravità, nessuna possibilità di trasferire la zavorra a bordo, espulsione della zavorra mediante spiazzamento con aria compressa e nessuna indicazione remota dei livelli delle casse.

Le sistemazioni di ormeggio di questi mezzi sono minime a prua e pressoché inesistenti a poppa, dovendo quest’ultima essere lasciata libera per il transito dei carichi. A prora, oltre all’ancora con relativo verricello salpancore dotato di campane di tonneggio, troviamo gli attacchi Smit per i rimorchi, le bitte di ormeggio e i passacavi. Ulteriori bitte di ormeggio saranno presenti in coperta lungo i fianchi fino a poppa. Sulla prora o lungo il fianco, troveremo festonato il cavo di rimorchio d’ emergenza.

Lavorare su questi mezzi, in particolare su quelli più vecchi, costringe il personale ad aguzzare l’ingegno per superare tutti i problemi che si possono presentare nel corso dell’operazione. In queste circostanze è fondamentale conoscere molto bene le caratteristiche tecniche del mezzo, i suoi limiti tecnici, le sue magagne, in essere e probabili, e il suo comportamento nelle varie fasi dell’operazione. Questa conoscenza permetterà all’operatore di riconoscere eventuali anomalie e di porvi rimedio.

L’assenza di sistemazioni di manovra sulla poppa ed in coperta costringe all’adozione di sistemi alternativi, spesso poco ortodossi, per poter mettere in forza le cime d’ormeggio. Generalmente si ovvierà alla mancanza del verricello a poppa, imbarcando un mezzo ruotato in grado di tirare con forza adeguata, tipicamente un muletto o una piccola semovente. La cima verrà collegata al mezzo ruotato tramite una bozza, messa in forza con la dovuta attenzione e successivamente abbozzata e voltata in coperta. Si tratta di manovre che, oltre a comportare un discreto impegno fisico, richiedono perizia marinaresca, prudenza ed una buona manualità.

In maniera del tutto analoga al naviglio maggiore, anche le chiatte si trovano ad operare in porti diversi sia in Italia che all’ estero. La manovra di arrivo può essere suddivisa nelle seguenti fasi: imbarco in rada del personale addetto all’ormeggio e del pilota, rilascio del rimorchio d’altura e connessione dei rimorchiatori portuali, passaggio dalla rada all’ormeggio e manovra di ormeggio vera e propria.

Generalmente il personale addetto all’ormeggio si compone di una squadra di ormeggiatori locali assistita dal personale della chiatta. Data la natura particolare di questi mezzi, la buona collaborazione con i servizi portuali è essenziale. Se il pilota, il rimorchiatore di altura e i rimorchiatori di porto fanno un buon lavoro, la vita del personale addetto all’ormeggio è resa decisamente più facile. In caso contrario le manovre di arrivo e di partenza, in particolare la disconnessione / connessione del rimorchio d’altura, possono tramutarsi in un incubo, sia dal punto di vista del tempo impiegato che da quello della sicurezza sul lavoro.

Il nolo giornaliero della chiatta, del rimorchiatore e delle attrezzature per la movimentazione comporta un esborso significativo per il noleggiatore, quindi tutte le lavorazioni vengono effettuate nell’ottica di evitare tempi morti, per terminare l’operazione nel minor tempo possibile. Spesso queste operazioni sono vincolate da limitazioni ai fini della sicurezza, quali l’esecuzione del lavoro in orario diurno, o limiti in relazione alle condizioni di vento e mare.

Non appena ormeggiati, cominciano le predisposizioni propedeutiche all’operazione vera e propria.

Il personale di bordo fa l’assetto secondo le istruzioni ricevute dal noleggiatore, assiste il perito chimico di porto per il rilascio del certificato di non pericolosità, assiste il personale del noleggiatore incaricato della realizzazione delle predisposizioni necessarie all’imbarco del manufatto o delle operazioni di derizzaggio dell’eventuale manufatto da sbarcare. La chiatta diventa un cantiere vero e proprio, popolato da persone indaffarate: tecnici del noleggiatore, manovali, carpentieri e saldatori, tecnici della ditta incaricata della movimentazione, ispettori del proprietario dei manufatti, periti dell’assicurazione e della classe solo per dirne alcuni. La corrente per il funzionamento di tutta l’attrezzatura elettrica, tipicamente saldatrici e smerigliatrici angolari, può essere fornita da un generatore mobile, dal generatore della chiatta o più raramente da terra.

Durante questi giorni di attività frenetica, la casamatta della chiatta, con la sua puzza di gasolio, offre al personale, oltre alla possibilità di bere un caffè o un sorso d’ acqua in pace, un riparo sempre gradito, sia dai raggi del sole d’estate, che dal vento e dalla pioggia d’inverno. In queste circostanze il caffè, abbinato al necessario spirito di cooperazione, mantiene oliato il meccanismo dei lavori.

Una volta completata la preparazione comincia il lavoro vero. Che sia l’imbarco o lo sbarco di una grande gru portuale o il varo di un supply vessel o di un manufatto di carpenteria metallica destinato all’off-shore, l’attenzione è massima.

Movimentando carichi su ruote si deve lavorare in sintonia con il responsabile della movimentazione. Gestendo oggetti molto pesanti, l’assetto della chiatta varierà in maniera notevole al variare della posizione del convoglio in coperta; sarà cura del responsabile della movimentazione evitare il più possibile movimenti inutili che costringano a continue variazioni di assetto e cura dell’operatore della chiatta assecondare la movimentazione. L’aver predisposto al meglio l’assetto della chiatta e la distribuzione della zavorra a bordo consentirà di sveltire la movimentazione, la presenza di personale esperto sia a bordo che dalla parte della ditta incaricata della movimentazione è di importanza strategica per la buona riuscita del lavoro.

Quando si vara, la manovra di affondamento viene gestita dal personale della chiatta con particolare attenzione alla stabilità trasversale. A meno che non siano dotate di cassoni stabilizzatori, le chiatte semisommergibili non possono affondare con assetto longitudinalmente dritto. Questo fa sì che l’affondamento debba avvenire entro certi limiti di profondità, che permettano alla chiatta di appoggiarsi sul fondo in sicurezza. Per evitare che la chiatta, immergendosi libera, possa veder compromessa la sua stabilità trasversale, si deve avere cura di mantenere un assetto positivamente appoppato fino al raggiungimento dell’appoggio dello specchio di poppa sul fondale. Una volta soddisfatta questa condizione, si potrà completare l’allagamento delle casse di zavorra prodiere fino al raggiungimento della massima immersione. L’emersione, che sia a seguito di un varo o per mettere a secco una piccola unità navale o un manufatto galleggiante è un operazione altrettanto delicata. Si pompa aria per espellere la zavorra e far emergere la prua fino a quando non si è in grado di garantire la stabilità trasversale della chiatta, dopodiché si espelle zavorra dalla poppa per provocarne il distacco dal fondale. Una volta avviata, l’emersione della poppa è molto rapida e non può essere arrestata. Sui fondali fangosi, l’effetto ventosa del fondale rende l’emersione ancora più subitanea e meno controllabile.

Alternativamente all’effettuazione delle operazioni con immersione ed emersione in acqua libera, varo e messa a secco possono essere effettuati dentro ad un bacino di carenaggio di dimensioni adeguate. La chiatta in questo caso sarà poggiata sullo scalo del bacino ed il livello dell’acqua in vasca gestito dal personale del bacino su indicazioni del personale della chiatta.


Mentre le operazioni di varo e presa in carico sono sempre vissute dentro la dimensione tecnico-nautica tipica della cantieristica navale o dell’offshore, nei grandi trasporti ci si ritrova ad operare in una dimensione terrestre, dove il personale della chiatta spesso è costretto ad interfacciarsi con persone che non hanno la minima idea di cosa sia un trasporto marittimo. In questi casi, i comportamenti dinamici dell’insieme chiatta / carico causati dalle maree, dal vento e dalla risacca del porto, generano nel terrestre il bisogno irrefrenabile di fare domande:

* Perché la chiatta sta affondando? Non stiamo affondando è la bassa marea.

* Perché la banchina è piu’ bassa della chiatta? Siamo in alta marea, il livello del mare è salito.

* Perché la chiatta prima era dritta e adesso è sbandata? Portiamo una struttura alta 70 metri, il vento ci fa sbandare.

* Perché non riuscite ad impedire che si muova quando passano le navi? Perché non siamo un camion posteggiato in un piazzale.

Se il personale del noleggiatore è completamente nuovo a questo tipo di operazioni, alla fine della giornata si torna a casa o in albergo con un bel mal di testa. Quando si lavora fuori sede, il protocollo serale è quello di tutte le trasferte: doccia, rendicontazione della giornata, aperitivo e/o telefonate, cena e giretto in città, quattro chiacchere con i colleghi prima di andare a dormire anche per organizzare le attività del giorno dopo.

Quando si lavora a bordo di queste cenerentole dell’armamento navale le giornate sono lunghe ma le soddisfazioni non mancano. Vedere l’ultimo asse di un grande convoglio che scende a terra o sale a bordo, completare il varo oppure mettere a secco una costruzione navale, vedere la chiatta che si allontana dalla diga trainata dal rimorchiatore d’altura è sempre appagante. Umili quanto versatili, le chiatte semisommergibili possono vantare una flessibilità d’ impiego che non teme paragoni.

 


 

Fausto Mazza, autore del presente articolo, è Comandante di Cantiere e RSPP presso il cantiere navale T. Mariotti S.p.A.

 

Rapallo, 26 Luglio 2018

 

A cura del webmaster Carlo Gatti


L'AVVENTUROSA MANOVRA DELLA "TUBUL"

L'AVVENTUROSA MANOVRA

DELLA "TUBUL"

di Massimiliano GAZZALE - Pilota del Porto di Genova

 

Nel nostro lavoro la possibilità di un'avaria è sempre in agguato. Ogni Pilota del porto di Genova esegue diverse centinaia di manovre all'anno. Nel momento in cui si agguanta una biscaglina, oppure quando si posa il piede sullo scalandrone di una nave, deve diventare automatico girare l'interruttore che scollega i pensieri e i problemi che non riguardano la manovra che si sta per affrontare: pena la mancanza della "presenza" necessaria ad affrontare gli imprevisti. In questo articolo il Com.te Gazzale ci porta con lui durante una di queste avventure. Uno degli obiettivi del sito SBE è quello di far conoscere realtà portuali/marittime poco comuni. E' questo il motivo per cui  trovate numerosi articoli scritti da persone provenienti dalle più disparate realtà. Invito chiunque si riconosca in questa filosofia a farsi avanti con storie, avventure e/o descrizioni, per raccontare il loro mondo visto e vissuto dall'interno. A presto!

J.G.

Quella mattina di Maggio il vento era debole e l’aria iniziava a essere tiepida. Il debole chiarore a levante annunciava l’allungarsi delle giornate.

Nella Stazione Operativa, i piloti montanti guardavano alternativamente gli schermi della programmazione dei lavori e la lavagna elettronica che riportava la cartina e i segnali AIS delle navi, mentre l’operatrice notturna smontante descriveva il traffico in corso e quel che si prevedeva accadesse di li a poche ore.

Lo schermo AIS mostrava una sagoma sulla linea delle 7 miglia. Dirigeva verso l’imboccatura di levante e ci colpì per la bassa velocità mostrata dal target.

Era una portacontenitori e, solitamente, queste navi arrivano in fretta, ma non sono mai abbastanza veloci agli occhi degli interessati alle operazioni commerciali. Per noi non fa nessuna differenza: quando arriva noi la portiamo dentro.

L’operatrice radio ci disse che la nave aveva avuto alcuni problemi, non meglio precisati, alla macchina durante la notte, ma sembrava li avesse risolti. Il VTS (Vessel Traffic Service) era stato informato dalla nave stessa e nessuna indicazione, o richiesta di azione, era stata avanzata verso i piloti. La nave stava regolando il suo ETA autonomamente. Era tutto chiaro.

Questo tipo di nave, per entrare in porto, richiede la presenza di 2 piloti e un certo tipo di garanzia sullo stato di efficienza generale. Chiunque di noi fosse andato a bordo avrebbe fatto più di una domanda al Comandante per essere rassicurato sull’effettiva risoluzione dell’avaria denunciata.

La TUBUL è una nave portacontenitori costruita nel 2011 in Corea del Sud, di circa 90.000 tsl per una lunghezza di quasi 300 m e una larghezza di 45. Considerando gli spazi a disposizione per raggiungere l’ormeggio assegnatole, possiamo dire che è una grossa nave.

Raggiunta la distanza di tre miglia dall’imboccatura, la Tubul fu assegnata a me e al collega che mi seguiva nell’ordine. Contattai la stazione rimorchi per predisporre due “pezzi” per l’arrivo.

La nave e il VTS confermarono le buone condizioni operative per la manovra. Non avevamo idea di quali problemi avesse avuto in macchina ma, evidentemente, non erano stati tali da provocare allerte particolari.

La pilotina uscì in anticipo per andare incontro alla nave: volevamo imbarcare un po’ prima del solito per “annusare” la nave, l’equipaggio e il Comandante.

Girando intorno alla nave con la pilotina, notammo che era molto carica, e che lo specchio di poppa toccava quasi in acqua.

La manovra di ormeggio può essere interpretata in modi diversi e, manovrando in due piloti, si ha l’indubbio vantaggio di poter discutere su diversi punti di vista. Questa volta non avevamo dubbi, non avremmo usato calata Gadda per l’evoluzione (nonostante la praticità che offriva questa scelta) optando per una manovra leggermente più lunga, ma sicuramente più sicura in caso di dubbi sull’efficienza della macchina: l’avamporto.


Un giovane Comandante ci accolse cordialmente sul Ponte di Governo, dove iniziammo lo scambio delle informazioni.

Dopo le formalità circa i dati statici e dinamici, l’ormeggio e la manovra che si intendeva proporre al Comandante, il mio collega venne al sodo chiedendo le condizioni della macchina. Il Comandante ci spiegò che il sistema di allarme li aveva costretti a ridurre la velocità di navigazione, ma che per la manovra non ci sarebbe stato nessun problema.

La conduzione della manovra fu lasciata a me e iniziai a suggerire al comandante rotta, velocità e indicazioni su come "voltare" i rimorchiatori a prua e a poppa.

Girare in avamporto ha vantaggi e svantaggi. In questo caso preferivamo fermare la nave prima di quanto avremmo fatto girando alla Gadda ed evoluire in un bacino più ampio, anche se, in termini di tempo, avremmo impiegato diversi minuti di manovra in più. La manovra in avamporto si esegue ruotando la nave al contrario della via dell’elica, e questo comporta una maggiore resistenza, ampiamente compensata dall’utilizzo di ottimi rimorchiatori e di una buona elica prodiera.

Fermare la nave prima significa scoprire in anticipo come agisce la potenza del motore sul peso della nave e, in quel contesto, verificare se la macchina sarebbe partita indietro, che poi era il dubbio presente nelle nostre menti dal momento in cui ci fu assegnato quel lavoro.

Tutto procedeva regolarmente: il rimorchiatore Svezia era stato voltato a prua e il Germania a Poppa; la macchina partì regolarmente indietro e con un’efficienza tale che non fu neanche necessario mettere il Germania in bozza a frenare. Due “barche” potenti portate da due voci note, eravamo in buone mani.

L’evoluzione iniziò con Svezia e Germania che vogavano più o meno al traverso, aiutati dal bow thruster che, con la sua lunga scia mostrava i muscoli. Avevamo ancora un leggero abbrivo in avanti, e questo mi piaceva: il Germania lo avrebbe smorzato di lì a poco, perché vogando al traverso di poppa, in realtà il rimorchiatore è sempre un pò sguardato e questo lo fa agire anche da freno.


La poppa della nave superò il pontile Ente Bacini Esterno con abbrivo residuo zero come previsto. Poco dopo  il Comandante mi informò sulle  distanze e io gli suggerii di avviare nuovamente la macchina indietro, che partì regolarmente.

Fermati i rimorchiatori, gli indicai di restare pronti “in filo” di prua e di poppa pronti per ogni evenienza. Guadagnavamo spazio verso il punto critico della manovra: lo spigolo del fanale rosso in testata Sanità.

Questo “angolo” del porto di Genova meriterebbe paginate di considerazioni per la brutta fama che porta con sé. E’ l’ostacolo per ogni manovra del Porto Vecchio, è un guardiano implacabile, un monito per tutti, un coltello affilato puntato al fianco di navi comandanti e piloti; va trattato con rispetto, tanto più rispetto quanto più uno intende passarci vicino, perché lui non teme nulla, resta lì, sono le navi e le gambe di chi le governa che tremano guardandolo scorrere al traverso.


Fermai la macchina quando il comandante mi avvertì che avevamo circa 3 nodi di velocità indietro. La poppa era ancora all’altezza del Paleocapa Saar e a tre nodi avremmo impiegato poco più di un minuto per trovarci all’altezza del fanale “rosso”. Tutto perfetto: il giusto abbrivo indietro, macchina ferma e pronta per essere avviata in avanti, rimorchi pronti ad agire in qualunque direzione. Quando lo ritenni opportuno dissi al comandante che avremmo iniziato a ruotare per portarci paralleli alla banchina di ormeggio. Suggerii e chiarii bene le fasi successive, perché gli spazi si sarebbero fatti più stretti e i tempi più corti. Stava per iniziare l’ultima fase della manovra, quella più delicata.

Indicai al Germania di vogare in banchina, cioè verso la Sanità, il bow thruster al lavoro a sinistra e lo Svezia in voga a Nord per far “salire” la prua, valutando istante per istante la curva di evoluzione per passare alla giusta distanza dal fanaletto “rosso”. Nella rotazione la nave avrebbe perso parte della velocità naturalmente, mentre il Germania avrebbe contribuito con una forza vettoriale indietro. Tutto sotto controllo.

La velocità di rotazione della prua era superiore rispetto a quella della poppa e questo mi piaceva: la prua doveva rimontare decine di metri rispetto alla poppa per raggiungere una posizione dinamica parallela alla banchina. A un certo momento fu chiaro che la velocità di rotazione residua sarebbe stata sufficiente, così fermai lo Svezia, il BT (bow thruster) e ricontrollai la velocità indietro:  circa 2,5 nodi come previsto, sufficiente a raggiungere la posizione di ormeggio e a considerare la nave in pieno controllo. E’ una velocità che corrisponde a circa 75 metri al minuto (mi piace, quando manovro, considerare in questo modo la velocità, perché mi dice in un orecchio quanto tempo ho in base allo spazio disponibile e mi aiuta a capire cosa fare, quando farlo e se posso farlo). Calata Sanità è poco più di 520 metri – quando mi trovo al traverso del fanale “rosso” considero sempre 500 per buona misura – e a quella velocità, senza intervenire, ci sarebbero voluti circa 6 minuti per arrivare in fondo, senza tenere conto della perdita di velocità naturale della nave. Avevamo tutto il tempo che serviva. Il Comandante confermò i miei pensieri quando l’ufficiale di poppa gli comunicò la distanza di poppa, 450 metri circa, non sapeva che io stavo contando le bitte in banchina, ed ero molto più preciso di lui.

Suggerii al Comandante di liberare lo Svezia, prevedendo di usarlo alla spinta verso poppa, visto che a prua avevamo il BT e che per affiancare la nave sarebbe servita una spinta trasversale, mentre il Germania sarebbe stato pronto a vogare per allargare la poppa in caso di necessità. Concordato questo ricontrollai le bitte.

400 metri, 5 minuti circa. Dal terminal mi chiamarono via radio dicendo che la posizione questa volta sarebbe stata sulla bitta 8 invece che sulla 5, mi sembrava di ricordare la stessa cosa e confermai via radio, in quel momento feci un riepilogo della situazione al comandante:

· Germania fermo e pronto in fuori,

· Svezia in procinto di essere liberato,

· macchina ferma e BT fermo,

· timone in mezzo.

Il comandante confermò 2,3 nodi di velocità indietro.  A quel punto suggerii di dare macchina avanti, valutando che alla bitta 8 mancavano meno di 5 minuti e considerando che, visto il pescaggio della nave, un nodo di velocità e qualche minuto in più di manovra mi stavano più che bene. Inoltre avrei avuto il tempo di passare i cavi a terra in sicurezza e di avere lo Svezia pronto alla spinta verso poppa in tempo utile.

300 metri, 2 nodi, 5 minuti dalla fine della banchina.

Mr Pilot disse il comandante serio –  la macchina non parte!

Io e il mio collega, che nel frattempo mi aveva raggiunto passando dall’aletta di sinistra a quella di dritta, ci scambiammo uno sguardo che tradotto significava: piano B!

Sapevo di dover continuare a dare indicazioni al Comandante senza allarmarlo più di quanto già non fosse, e sapevo che il mio collega avrebbe avuto la calma necessaria per valutare ogni mia singola parola integrandola se necessario.

In quel momento dalla prua arrivò la notizia che il rimorchiatore era libero. Ottimo! Pensai.

Prima cosa la sicurezza delle persone e quindi avvisai gli ormeggiatori sulla barca, già pronti a prendere gli spring di prua, e lo Svezia di allontanarsi perché avremmo dato fondo alle ancore. Non appena l’area fu sgombra suggerii al Comandante di dare fondo subito a tutte e due le ancore.

250 metri, 2 nodi, 4 minuti.

Il rumore di ferro arrivò dalla prua come un tuono lontano, avvisandoci che le grosse ancore erano sul fondo e stavano chiamando la catena in acqua.

Guardai a poppa, non vidi la scia del’elica e pensai alla poppa della nave e al suo specchio tronco… guardai il mio collega.

Germania! ce la fai a spingere sullo specchio di poppa?

il Germania è uno degli ultimi modelli di rimorchiatori in forza a Genova; oltre ad una potenza micidiale ha anche una prua molto alta e ampia che si presta bene alla spinta e per questo lavoro lo specchio di poppa della Tubul era perfetto.

– Sì, se mi da due minuti mi accorcio il cavo e vado.

Non li hai due minuti Germania, fai quel che puoi, quando ci sei spingi con tutto quel che hai.

– Ricevuto, vado!

Sapevo dal tono di voce del Comandante del Germania che aveva capito perfettamente la situazione. Il mio collega annuiva e guardava il comandante che comunicava con la sala macchine e muoveva la leva del motore. L’aria per l’avviamento era a livelli alti, il problema era un altro e sconosciuto, ma sicuramente non avremmo avuto la macchina in tempi brevi.

Svezia, quando hai recuperato il cavo dirigiti a poppa e spingi insieme al Germania, puoi farlo vero?

Sì certo, sto andando!

Due rimorchiatori di quella potenza utilizzati alla spinta sono una garanzia, in più avevo le catene e le ancore che stavano mordendo il fondo

200 metri 1,7 nodi, meno di 4 minuti

La velocità stava scendendo, buona notizia, tutte le forze a nostra disposizione stavano operando correttamente. Parlando con il comandante, che era molto teso, concordammo di provare a frenare le ancore dopo che la quinta lunghezza fosse andata in acqua. Oltre 100 metri di catena sul fondo avrebbero agguantato maledettamente bene!

– Il Columbia sta arrivando!

La stazione di controllo dei rimorchiatori, che non stava affatto dormendo, aveva già mandato un altro rimorchiatore in assistenza, buona notizia.

150 metri, 1,5 nodi, 3 minuti

Quando il tempo a disposizione diminuisce meno rapidamente della distanza è sempre un sollievo e sentivo che la situazione era sotto controllo. Eravamo tutti in attesa, la velocità diminuiva più lentamente ora. Il mio collega mi informò che aveva già avvisato l’Autorità Marittima e la stazione piloti.

100 metri, 1 nodo, 3 minuti

Pensai ai 50 metri dei rimorchiatori di poppa più i 50 metri residui e immaginai la scia che dirigeva verso la banchina. Presi un’ultima precauzione.

Germania, Svezia, fischiate per avvisare se ci fosse qualcuno in banchina.

– Comandante siamo fermi!

Mi anticipò il Germania, non sapendo che l’abbrivo della TUBUL aveva tutta l’attenzione che ero in grado di avere da qualche minuto; il problema adesso era l’opposto: smorzare l’abbrivo in avanti.

Bene, Germania e Svezia fermatevi! Germania pronta a frenare con il cavo.

Con tre rimorchiatori, la nave in pieno controllo, iniziammo a salpare le catene.

Successivamente e lentamente dirigemmo in banchina, non prima di aver effettuato un paio di test positivi sul motore che partì regolarmente per il sollievo del comandante.

A nave ormeggiata era giunto il momento di congedarsi. Il Comandante ci strinse le mani ringraziandoci calorosamente  per come avevamo condotto la manovra, ben consapevole che di lì a poco sarebbe stato "intervistato" dalle autorità. Dal nostro canto ringraziammo lui e l’equipaggio per l’ottimo lavoro di squadra, e soprattutto i rimorchiatori, rivelatisi decisivi in questa emergenza.

La pilotina era già pronta di poppa. Altre navi ci aspettavano per andare all’ormeggio.

 

Rapallo, 12 Luglio 2018

webmaster: Carlo Gatti

 


 

 



UNA PICCOLA GRANDE STORIA DI MARE

 

UNA PICCOLA GRANDE STORIA DI MARE


Dalla rubrica settimanale PARLO CIAEO creata e condotta da Andrea Acquarone, é emersa dalla polvere depositata dalla storia la lettera di Rinaldo ed una bella quanto realistica ricerca dello scrittore Roberto Polleri.

L’importanza e la bellezza di questa storia consiste nella rappresentazione drammatica della vita quotidiana di un veliero vista e raccontata dal marinaio Rinaldo che vive l’approssimarsi del naufragio che non avviene per puro miracolo…

Ringrazio l’amico Andrea Acquarone per la freschezza del suo racconto in lingua genovese e per avermi fatto conoscere Roberto Polleri: una buona penna marinara! Ringrazio infine L’Agenzia Bozzo di Camogli da cui abbiamo preso l’unica fotografia esistente del brigantino a palo Mac Diarmid.

Carlo Gatti

PARLO CIAEO 03 giugno 2018

L’urtimo viagio da Mac Diarmid. Finiva coscì l’epoca di bregantin

di Andrea Acquarone

In zeneise se ciammavan ascì co’unna poula ingleise, scippe, comme à dî: o barco pe eccelensa. E de fæti i bregantin, avanti do vapô, an fæto a fortuña da nòstra marineria; za verso a fin do secolo l’atro, però, ean in sciâ via do declin, coscì che quande o Roberto Polleri o m’à contou l’avventua da Mac Diarmid, visciua da-o Rinaldo Pistarino (nònno de seu moggê) do 1924, ghe son arrestou doe vòtte. A no l’ea solo unna stöia de mâ de quelle epiche, ma a l’ea ascì feua da-o tempo.

A Mac Diarmid o l’ea un bregantin scosseise con scaffo in äsâ do 1884, che passando de man in man o l’arriva dòppo a primma guæra a-a famiggia Dufour. I 23 de luggio do 1924 a parte donca da Zena pe Montevideo carrega de sâ, e i 14 d’agosto, comme previsto, son à largo do Senegal. Ma da lì in avanti, primma ghe picca addòsso un monson ch’o dua un meise, dapeu pe un atro meise no se mescian pe farta de vento, tant’è che i 30 de settembre se treuvan ancon à l’ertessa da Guinea, quande i mouxi de unna borrasca scciancan doî di erboi. Con tutto, riescian à anâ avanti, e i 8 de ottobre son à 100 miggia da-o Brasile, ma ecco che unn’atra boriaña a î piggia, e unn’atra ancon i 23 de ottobre. Un tòcco de coverta a sata e i òmmi veddan a fin: à bòrdo manca tutto, sorviatutto a speransa. Però strenzan i denti, fan di tappolli pe riparâ i danni, mangian i bagoin pe no moî de famme, scinché o no l’arriva un bon vento fresco che o î pòrta à sarvamento à Montevideo i 4 de novembre. Tutti pensavan che a Mac Diarmid a fïse naufragâ, aivan za fæto dî de messe…

O Rinaldo Pistarino o l’aiva dixineuv’anni quande o l’à visciuo sta traversâ. Tanto pe capî o personaggio, quattr’anni avanti o l’ea scappou de cà pe imbarcâse, e o l’ea za in sciô meu quande un amigo de famiggia ô conosce e o ô ripòrta in derê. A stöia da Mac Diarmid â conoscemmo graçie à lê, ch’o l’à contâ pe lettia à sò fræ (unna lettia tanto bella ch’a dovieiva stâ a-o MUMA). Dòppo avei descrito i seu “cento giorni tra acqua e cielo” o finisce coscì: “mai paura buon marinaio”.

Lescico

Apreuvo: seguenti
Arrestou: (ghe son): sono rimasto sorpreso
Äsâ: acciaio
Bagoin: scarafaggi
Erboi: alberi
Farta: mancanza
Guæi: molto
Mescian: muovono
Mouxi: marosi
Picca: picchia
Sâ: sale
Scciancan: schiantano

UNA PICCOLA, GRANDE STORIA DI MARE
SULL'OCEANO A BORDO DELLA

MAC DIARMID

di Roberto Polleri

La “Mac Diarmid” era un brigantino a palo, dotato di tre alberi con scafo in acciaio, per ben 1.622 tonnellate di stazza. Viene varata il 16 ottobre 1883 dal cantiere dell'Armatore Mac Millan di Dumbarton in Scozia il quale dopo tre anni di navigazione la rivende all'Armatore Michele Amoroso, italiano, che ne affidava il comando al Capitano Cremonini.


Tra i suoi viaggi, nel 1886 la nave veniva registrata a San Francisco (USA) con carico di grano per Queenstown, in Australia. Alla morte dell'armatore Amoroso, gli eredi vendettero il bastimento a George Karran di Castletown (Isola di Man). Nel 1907, il bastimento era partito da Newcastle (Australia) per il Cile, dove incappava in una violenta tempesta che lo disalberava. La nave raggiungeva fortunosamente Auckland in Nuova Zelanda, dove rimaneva abbandonata per due anni finché l'Armatore Capitano Giuseppe Mortola di Camogli, detto "Sanrocchin", probabilmente per la sua origine dalla frazione di San Rocco della cittadina ligure, il quale intuiva che l’acquisto della nave poteva essere un buon affare e diveniva quindi proprietario della “Mac Diarmid” per la cifra di circa 2.400 sterline inglesi, pari a circa 56.000 lire, al cambio del 1909 che indicativamente potrebbero essere attuali 200.000 euro.

Il Capitano Giuseppe Mortola era il maggior armatore italiano di navi a vela di tutti i tempi: era proprietario di venticinque grandi navi e di una trentina di vascelli minori oltre alle quote in altre società di navigazione ed alle numerose carature possedute nei vascelli di diverse famiglie di armatori di Camogli. Acquistato il Mac Diarmid, il "Sanrocchin" lo faceva riarmare e dal 1910 il bastimento riprendeva a navigare ancora proficuamente. Nel 1914 partiva da Marsiglia per Rio de Janeiro in Brasile, con carico generale.


Da li, proseguiva in zavorra, ovvero riempiendo le stive di acqua di mare per stabilizzare la navigazione, in direzione Newcastle (Australia) dove caricava per il Cile da dove proseguiva poi per le Isole del Guano, quali Lobos de Afuera dove caricava il guano, ovvero escrementi di uccelli marini, utilizzato in Europa sia come potente fertilizzante sia come base da cui estrarre il salnitro, elemento necessario alla creazione di polvere da sparo.


La Mac Diarmid sopravvive alla Grande Guerra, al termine della quale fu venduto alla famiglia Dufour di Genova i quali lo utilizzeranno esclusivamente per trasportare sale di Cadice ai saladeros argentini ritornando a Genova con estratto di “quebracho”, una sostanza ricca di tannino utile per la concia delle pelli.


La carriera della nave si conclude nel 1926 a Genova, dove viene disarmato e rimane al molo Duca degli Abruzzi sino al 5 dicembre 1928 quando viene rimorchiato a Savona per essere demolito.


E' uno dei rari casi in cui una nave, nonostante il passaggio a diversi proprietari, non ha mai cambiato il suo nome nei 45 anni di vita e di navigazione.

Il viaggio


La nave lascia il porto di Genova diretta verso l’Uruguay il 23 luglio, già in assenza di vento, con rotta verso ovest per lo stretto di Gibilterra. Dopo circa un mese di navigazione, il bastimento arriva in dirittura delle isole di Madera, Comore e Capoverde, al largo della costa africana all’altezza del Senegal, senza problemi di sorta. E’ il 14 agosto. Da quel giorno in poi, per circa un mese la nave si trova in balia del vento e della pioggia, ci vorrà un altro mese per superare la linea equatoriale, quando la fatica e le avversità iniziano a provare l’intero equipaggio. Eppure il peggio deve ancora arrivare: a fine settembre, il 27 per l’esattezza la nave si trova al largo del golfo della Guinea, zona a forte rischio per la presenza di pirati, dove il bastimento deve navigare a sufficiente distanza dalla costa per scongiurare attacchi.

L’evento più importante di tutto il viaggio è il temporale del 30 settembre. Mare e vento spezzano gli alberi principali e danneggiano seriamente la “Mac Diarmid”. Due mesi di mare e danni all’apparenza tali da far presagire un imminente naufragio. Nonostante i danni, gli uomini stremati e la scarsezza di cibo ed acqua, la nave prosegue la sua rotta verso il Brasile, che in data 8 ottobre è a circa 100 miglia di distanza. Anche qui, però una nuova tempesta sembra dare il colpo di grazia al brigantino. Nuovi danni allo scafo ed al morale degli uomini che vedono ormai vicina la fine. Ottanta giorni in mezzo al mare ed il porto che appare lontano ed irraggiungibile. Nonostante tutto si procede tra i flutti, e si arriva così al 23 ottobre, all’alba del terzo mese trascorso a bordo, quando di nuovo la violenza del mare e del vento segnano profondamente la nave. Una parte della coperta viene sradicata dalla forza della natura. Mancano ormai solo 700 miglia da Montevideo, destinazione dell’imbarcazione.

In tre giorni di vento buono e di mare calmo si potrebbe giungere in porto, ma con la nave così provata dalle intemperie anche il minimo spostamento diventa una fatica enorme per lei e per chi la conduce. Adesso si sta toccando davvero il fondo. A bordo manca tutto, cibo, acqua ma soprattutto la speranza di vedere ancora terra. Per fortuna il vento cambia, i danni sono rattoppati alla meglio con ciò che si ha a bordo e la nave fa rotta verso l’Uruguay.

È l’alba del 3 novembre quando l’urlo liberatorio “Terra! Terra!” risuona sulla tolda e riaccende gli animi dei marinai. Alle 14.00 del 4 novembre 1924, dopo 105 giorni di navigazione, la “Mac Diarmid” tocca il molo di Montevideo. L’equipaggio è interamente salvo anche se decisamente prostrato dall’incredibile viaggio. Eppure, la forza d’animo dei marinai e la forza quasi magica sprigionata dalla “misteriosa Mac Diarmid”, come la definirà Rinaldo, che nonostante le avversità riesce comunque a raggiungere la propria destinazione. A terra, le maestranze si stupiscono dell’arrivo del bastimento che davano per naufragato nell’oceano per il così lungo tempo trascorso dalla partenza. 

L’autore della lettera


Rinaldo Pistarino era nato a Voltri il 23 agosto 1905. Aveva solo quindici anni quando scappa da casa con un piccolo fagottino sulle spalle diretto verso il porto di Genova pronto per imbarcarsi e assecondare la sua grande passione per il mare e la navigazione. Giunto su uno dei moli, viene riconosciuto da un amico di famiglia che ne intuisce la fuga e, prendendolo letteralmente per il colletto lo carica a forza su una delle carrozze dirette verso il ponente genovese, affidandolo al cocchiere e pregando quest’ultimo di tenerlo d’occhio fino all’arrivo nella sua abitazione dove poi di persona si sarebbe sincerato del suo rientro. Il primo tentativo di diventare marinaio finiva così un po’ miseramente...

Eppure, era solo questione di tempo. La sua voglia di partire lo avrebbe condotto in mare aperto a vivere tutto ciò che abbiamo letto nelle sue parole. La sua passione per il mare terminerà solo quando l’incontro con la sua futura moglie lo porterà a decidere di trovare un lavoro sulla terraferma. Il “buon marinaio” è morto a Voltri il 24 maggio 1989.

La lettera

Montevideo, 18 dicembre 1924.

Carissimo Fratello,


vuoi tu dunque conoscere le avventure mie e di questo lungo viaggio? Ebbene, il tuo desiderio in certo qual modo sarà esaudito, ne avrei da raccontarti e forse più che sufficiente sono i particolari, per poter compilare un vero romanzo di avventure e a te farà molto piacere leggere questa mia, dato che sei sempre stato un po’ amante delle avventure più strane e più soddisfazione proverai pensando che chi scrive è tuo fratello, tuo fratello che ha intrapreso un viaggio non privo di emozioni, ma che ora tutto è tornato alla tranquillità.


Immagina si parte dal cantiere il mattino del 23 luglio con poco vento, alla sera siamo già in bonaccia completa e di questa ne abbiamo per tre giorni, siamo sempre in vista della costa spagnola, ma ecco che al quarto giorno una leggera brezza da nord ovest ci fa filare verso questa immensa pianura senza fine e piena di misteri e dopo qualche giorno di questo buon vento si entra, per così dire, nella zona della brezza costante (vento che scende da nord est) questo vento è buonissimo per noi, dato che è in poppa e dovrebbe accompagnarci quasi all’Equatore, per poi prendere l’altra brezza da sud est e quest’ultima dovrebbe accompagnarci sino all’altra parte per poi navigare alla ventura e con venti diversi fino alla meta, ma ecco, che come invece sentirai, tutto il previsto è andato a vuoto.


Entrati che siamo nella prima brezza cioè quella da nord est che ci fa filare e delizioso è il navigare con si buon vento e così si arriva al 17 agosto, durante questo frattempo siamo passati al largo di qualche isola.


Il 6 agosto l’isola di Madera, l’11 agosto le Comore, il 14 l’isola di Capoverde che si trova al 13° di latitudine a nord, tutte però invisibili ad occhio nudo.


Ed eccoci al 17 agosto, dopo aver navigato per circa un mese senza incidenti di sorta, si comincia e potrei paragonare che da oggi non si naviga più come cristiani ma da vere bestie.


Eccoci al primo temporale, vento forte da prua, pioggia e mare grosso, si tenta di bordeggiare ma il tempaccio non ci permette, ora devo spiegarti in gergo marinaresco certe manovre, non potendo altrimenti ci mettiamo alla trinca dopo che la furia del vento ci asportò qualche vela dopo vari giorni il vento si rinforza e pare che dica voglio vincere io, infatti qualche altro disastro succede.


Questo ventaccio dopo aver soffiato a volontà ci regala un po’ di calma, ma ci rimane ancora i colpi di mare i quali non ci assicurano di stare in coperta, sempre piove, siamo al 14 settembre, ossia da 52 giorni che siamo in mare e da 27 che siamo sotto una pioggia continua e che non si vede il sole. La notte dal 14 al 15 settembre altro vento forte di prua e di questo ne abbiamo per qualche giorno ancora e ti confesso che noi tutti siamo quasi esausti, forse già troppo siamo stati provati da questi elementi, eppure non è ancora finita.


Finalmente eccoci al 18 settembre e abbiamo un po’ di calma. Ora ti spiego brevemente che cos’è questo ammassamento di vento furioso e continuo.


Il suo nome è Munson e proviene dall’Oceano Indiano attraversa l’Africa Equatoriale e con impeto di forza si butta nell’Atlantico tra il 13° di latitudine nord e l’Equatore e si perde poi credo nella Cordigliera delle Ande, la sua durata in generale è di sei mesi fra i quali ha 53 giorni e 16 ore di maggior violenza, e questo massimo si sente in detta posizione dal 10 di agosto al 20 ottobre circa.


Ora siamo al 15 settembre, si sta tirando un lungo bordeggio con prua verso la costa africana, oggi stesso si taglia l’Equatore, ossia si lascia l’emisfero nord per inoltrarsi all’emisfero sud onde ci attendono altri disastri.


Il caldo si fa sentire ed è insopportabile da 45 a 50 gradi ma grazie ai continui piovaschi, che sono per noi un vero sollievo, del Munson più nessuna traccia, ormai abbiamo oltrepassato la sua zona devastatrice e siamo nella continua bonaccia equatoriale.
Al 27 settembre siamo vicini al Golfo della Guinea, con calma di vento e corrente forte che ci spinge sempre più nel golfo, questo è un po’ pericoloso dato che è frequentato da piroghe di indigeni della Guinea i quali assaltano depredandoli i bastimenti che per disgrazia trovansi in questi paraggi, ma grazie a un po’ di brezza la quale ci da modo di allargarci alquanto da questo brutto posto.


Il 28 settembre, un po’ di vento buono ci fa guadagnare cammino, ma eccoci al 30 altra giornataccia, alle 4 pare si navighi con il vento in poppa, questo in un batter d’occhio cambia e di poppa si gira e si ferma di prua, tutto questo succede senza che nessuno se ne avveda, così che le vele invece di essere gonfie alla buona, ossia come si vorrebbe dire in gergo marinaresco, si rigonfiano al rovescio, in modo che i due alberi delle vele quadre, trinchetto e maestra, oscillano e si teme da un momento all’altro abbiano a cascare in mare, intanto si sentono scricchiolii di cavi che si spezzano, griglie del sartiame che come la grandine cadono in coperta, vele che si strappano completamente e se ne vanno con il vento, ma nemmeno qui ci diamo per vinti, non è ancora trascorso un minuto dall’ira di tutto ciò, che si sente una voce gridare con tutta la forza, coraggio e sangue freddo, è la voce del comandante che grida dando gli ordini più opportuni, lascio a te immaginare il momento che si sta passando, sembriamo matti furiosi, ma ognuno ha il suo compito, il suo dovere da compiere e con sangue freddo riusciamo per vero miracolo ad evitare una vera catastrofe, bastavano pochi minuti e poi addio
Mac Diarmid e i suoi uomini, nota che tutto questo è successo in pochi minuti.


Questo temporale del 30 settembre era infortunale e come abbiamo appreso al nostro arrivo a Montevideo perì con il suo equipaggio una nave tedesca proveniente dall’Europa e diretta come noi a Montevideo e un piroscafo inglese, tutti e due naufragarono proprio il 30 settembre.


All’indomani il vento cessa e si ritorna alla bonaccia, dopo nuovamente vento e si rifà cammino, tanto che il 7 ottobre siamo già vicini alla costa del Brasile, il giorno 8 siamo a 100 miglia e qua subito di gira di bordo e nuovamente al largo.


Eccoci alla notte fra 8 e 9 ottobre un altro disastro che merita di essere spiegato a parte. 
Il suo nome è Pampero, la sua origine credo nasca dal Messico, poi con velocità e forza incalcolabile scende verso l’America Meridionale seguendo la Cordigliera delle Ande, fino alla Terra del Fuoco, ossia al Capo Diurno, colà le montagne fanno specie di gomito in modo che questo vento è obbligato a buttarsi in Atlantico e ritorna indietro per via mare, con una forza tale che ora sentirai.


Dunque siamo alla notte tra 8 e 9 ottobre, il vento soffia tanto forte e con una potenza tale che buona parte delle vele viene asportata, i colpi di mare devastano tutto ciò che trovano in coperta, dopo qualche giorno vento e mare prendono forza con un aspetto tale che non sappiamo proprio a che Santo votarci per raccomandarci, sono circa 80 giorni che siamo in mare, si avrebbe bisogno di un po’ di riposo, il giorno dell’arrivo è ancora lontano, anzi per dirti il vero e per dirti tutto ora aspettiamo con rassegnazione da un momento all’altro il fatale momento.


La nave sembra non abbia più la forza di resistere, è un vero disastro perché prima il velaccio poi trinchetto e parrocchetto, dell’albero di trinchetto, velaccio gabbia e maestra dell’albero maestro tutto è stato asportato dal vento, non contento di questo, la forza del mare e del vento provocano la rottura di due stralli, cavi d’acciaio abbastanza grossi e un paterazzo della grossezza del braccio di un uomo, per questo l’albero maestro minaccia di cascare, ma grazie ad un tentativo ancora si riesce provvisoriamente a riparare.


Il 16 ottobre abbiamo un po’ di calma, e così via fino al 22, in questo giorno ecco un’altra volta il Pampero e con altra violenza che ci mette in serio pericolo, specie per certe manovre che dobbiamo fare in coperta vere montagne d’acqua si rovesciano in coperta, con una violenza tale che si vede la fine.


All’alba del 23 un’ondata più potente stacca dalla salda imperniatura circa 10 metri di bordo al lato sinistro della prora, non ci batte pure contro il boccaporto di maestra arrecando altri danni, siamo a circa 700 miglia da Montevideo ci basterebbero tre giorni di vento buono per coprire questa distanza ed essere a salvamento ma invece no, l’infuriare del vento e del mare non ci permettono nemmeno di stare alla trinca, così che si è obbligati ad appoggiare e perdere il cammino, che sudore di sangue ci costò e così in questa corsa vertiginosa, pensa con una vela sola si passano le 18 miglia all’ora e si va verso il Capo di Buona Speranza, la punta estrema dell’Africa, qua abbiamo un altro disastro, il pennone gabbia spezza i cavi di sostegno e pericola di cascarci in coperta ma anche qui si riesce a riparare, siamo al 25 ottobre, il vento sembra concederci un po’ di calma, ma Dio mio quale disastro si presenta.


I viveri cominciano a scarseggiare, quindi mano alla cinghia, ogni giorno stringo sempre di più e l’indizio di buon vento e dell’arrivo non si presenta. Gli scarafaggi diventano il nostro cibo. Ormai ogni speranza è per noi perduta, da 100 giorni siamo tra cielo ed acqua.


Eccoci al 29 ottobre, abbiamo un po’ di vento a favore, questo si rinfresca sempre più se continuasse così ora si fila verso quella terra che porta il nome di America.


Ecco il buon vento salvatore continua anche oggi.


Siamo al 1 novembre a 500 miglia da Montevideo, all’alba del 3 vediamo in lontananza terra e tutti a una voce si grida Terra! Terra! Non ci speravamo proprio più, seppur sfiniti e malconci la speranza si riaccende in ognuno di noi.


Verso sera siamo in vista dell’Isola Flores, all’alba del 4 avvistiamo l’Isola dei Lovi e alle 2 pomeridiane si giunge nella rada di Montevideo finalmente!
La nave, dico io, misteriosa
Mac Diarmid.


Appena arrivati è venuto un rimorchiatore portandoci viveri e notizie, infatti ci siamo sentiti dire che ormai non ci aspettavano più e che una S. Messa era stata celebrata in nostro suffragio, tanto più che qualche giorno prima una nave tedesca completamente disalberata causa una forte pamperada. Sul giornale (La Stampa) venne pubblicato un articolo sul temporale che infierì da queste parti e venne pure segnalata la perdita di qualche veliero.


Anche i nostri cari ormai non avevano più speranze di poterci rivedere, così appena giunti a Montevideo il nostro capitano ha mandato subito un telegramma alla compagnia e questa tempestivamente avvisò le nostre famiglie tranquillizzandole.
Potevamo proprio dire di essere stati fortunati.


E qui finisce il mio racconto che ormai non è che un ricordo.
(Mai paura buon marinaio)


Rinaldo

 

 

 

Brigantino a Palo MAC DIARMID

 

Epoca della foto: anno 1928

Fotografo: sconosciuto

Origine: Archivio Cap. Pro Schiaffino, Camogli

 


 

La nave Mac Diarmid fotografata nel porto di Genova nel 1928.

Scafo in acciaio, stazzava 1.622 tonnellate.

Venne varata il 16 ottobre 1883 dal cantiere dell'Armatore Mac Millan di Dumbarton il quale dopo tre anni la rivendette all'Armatore Michele Amoroso che ne diede il comando al Cap. Cremonini.

Ottimo e robusto bastimento, navigò per molti anni su tutti gli oceani.

Nel 1886 è registrato a San Francisco sotto carico di grano per Queenstown.

Alla morte dell'Armatore gli eredi vendettero il bastimento a George Karran di Castletown (Isola di Man).

Nel 1907, partito da Newcastle (Australia) per il Cile, incappò in una violenta tempesta che lo disalberò.

Raggiunta fortunosamente Auckland (N. Z.), vi rimase abbandonato per due anni finché l'Armatore Cap. Giuseppe Mortola di Camogli, detto "Sanrocchin",  fiutò l'affare ed acquistò il Mac Diarmid per £st. 2.400 pari a lire 56.000 al cambio del 1909.

Il Cap. Giuseppe Mortola è stato il maggior armatore italiano di navi a vela di tutti i tempi: era proprietario di venticinque grandi navi e di una trentina di vascelli minori oltre alle quote in altre società di navigazione ed alle numerose carature possedute nei vascelli di diverse famiglie di armatori di Camogli.

Acquistato il Mac Diarmid, il "Sanrocchin" lo fece riarmare e dal 1910 il bastimento riprese a navigare ancora proficuamente.

Nel 1914 partiva da Marsiglia per Rio de Janeiro con carico generale. 

Lì giunto proseguiva in zavorra per Newcastle (Australia); caricava per il Cile da dove proseguiva poi per le Isole del Guano.

A Lobos de Afuera caricava guano per l'Europa.

Sopravvisse alla Grande Guerra, al termine della quale fu venduto ai Dufour di Genova i quali lo ridussero a brigantino a palo e lo utilizzarono esclusivamente per trasportare sale di Cadice ai saladeros argentini ritornando a Genova con estratto di quebracho per la concia delle pelli.

Disarmato nel 1926 in Genova, rimase al molo Duca degli Abruzzi sino al 5 dicembre 1928 quando venne rimorchiato a Savona dove fu infine demolito.

E' uno dei rari casi in cui una nave, nonostante il passaggio a diversi proprietari, non cambiò mai il suo nome nei suoi 45 anni di vita.

 


A cura di

CARLO GATTI

 

Rapallo, 6 Giugno 2018